Autostrade per l’Italia si posiziona ai primi posti in Europa tra i concessionari di costruzione e gestione di autostrade a pedaggio con una rete di circa 5.000 km in Italia, Brasile, Cile, India e Polonia.
(dal sito Autostrade.it)
Quest’articolo prende spunto da una notizia del settembre 2013: maxifurto al casello autostradale di Savona, portati via dagli uffici più di 35mila euro. Concentratevi bene su un particolare: 35mila euro in contanti, l’incasso di una sola giornata di lavoro, esclusi i pagamenti in bancomat e carte di credito e telepass. Questa notizia mi ha spinto a saperne di più su una società che fattura 2 miliardi e 800 milioni di euro all’anno, che opera attraverso un’infrastruttura pubblica e che sarebbe potuta rimanere in mano dello Stato: vi presento “Autostrade per l’Italia”.
Gilberto Benetton
Le origini: l’IRI, il capitalismo di Stato e le privatizzazioni. Può esistere una terza via al comunismo ed al capitalismo? Negli anni ’50 se lo chiedevano in molti e sopratutto nella nostra penisola, stritolata com’era tra la pressione del più grande partito comunista europeo e l’influenza atlantica degli Stati Uniti d’America. Per rispondere alla questione, nel dopoguerra si era deciso di mantenere in piedi l’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale) di fascista memoria. L’IRI infatti era stato creato nel 1933 da Mussolini per ovviare al fallimento di alcune banche nazionali. E’ storia vecchia quella degli aiuti di Stato ai privati, e l’IRI ne è la madre, anzi il padre: nella pancia dell’Istituto alla fine degli anni ’80 riposavano circa 1000 società a capitale misto, la famosa “terza via” economica che l’Italia sembrava stesse sperimentando con estrema efficacia. E l’IRI era osservato con molto interesse al di fuori delle Alpi, anche perché possedeva un paio di società in evidente stato di monopolio: la società delle telecomunicazioni e la società delle autostrade.
Negli anni ’80 anche l’IRI, da sempre roccaforte democristiana, non passò indenne dal folle aumento della spesa pubblica che investì tutto l’apparato industriale italiano, e così che cosa si decise di fare? Di vendere, anzi di privatizzare. L’IRI viene prima quotata in Borsa nel 1992 e poi viene smembrata, cedendo agli azionisti ed ai privati imprenditori quasi ogni pezzo del comparto industriale pubblico italiano. Le poche aziende che sopravviveranno alla privatizzazione (la Rai, Alitalia, Fintecna, Fincantieri e Finmeccanica) passeranno sotto il controllo del Ministero del Tesoro. Il Gruppo Autostrade è uno dei primi colossi a finire nelle mani dei privati. Deus ex machina di questa e della maggior parte delle privatizzazioni: Romano Prodi.
E’ il 1999 ed al Governo siede Massimo D’Alema. Presidente dell’IRI è Gian Maria Gros-Pietro: segnatevi questo nome, perché più avanti ne riparleremo. L’IRI decide di quotare un buon 70% della società, vendendo il 30% alla Società privata Schemaventotto S.p.A.
Dopo più di 60 anni la gestione dei servizi autostradali non è più in mano alla Stato.
E adesso mettetevi comodi, perché comincia il giro di giostra.
I Benetton ed un gioco di scatole cinesi. Tutti avrete comprato almeno una volta nella vostra vita un maglione in un negozio della Benetton, l’azienda trevigiana che ha fatto del multiculturalismo un marchio di fabbrica Bene, Wikipedia ci dice che “Il Gruppo Benetton (Benettòn; non Bènetton) è un’azienda trevigiana fondata nel 1965 da Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo Benetton, che si occupa di moda”.
Falso, almeno in parte. Perché per chi non lo sapesse la famiglia Benettòn è la proprietaria dei nostri servizi autostradali. Esatto, questi maglionai trevigiani un bel giorno si sono detti: ma perché non ci buttiamo nel business del trasporto su gomma?, con buona pace del capitalismo italiano che da molto tempo ha perso il suo know how. Eravamo rimasti al 1999, ed alla privatizzazione del Gruppo Autostrade. Come abbiamo visto il 30% di questo ben di Dio se lo pappa Schemaventotto S.p.A, una società che controlla a sua volta il 30,06% di Atlantia S.p.a, che è invece controllata al 43,02% da Edizione s.r.l.
“Schemaventotto? Atlantia S.p.a? Ma di cosa sta parlando?!”
Dimenticate per un attimo questo intrigo di scatole cinesi e concentratevi bene su questo: Edizione s.r.l. è la holding, cioè l’azienda di famiglia dei Benettòn, e tanto ci basta per capire tutto il baillame intorno alla proprietà delle autostrade e non solo. Edizioni s.r.l. controlla il 67,08% di Benetton abbigliamento (i maglioni che indossate) ed il 100% di Schema24 s.p.a, un’altra azienda che controlla a sua volta … indovinate che cosa? … il 59,28% di Autogrill S.p.a.
Esatto: ogni volta che viaggiate in autostrada e vi fermate a prendere un Camogli con bibita , state finanziando in maniera cospicua la
famiglia Benetton. Autogrill S.p.A è un colosso mondiale che ha fatturato nel 2011 quasi sei miliardi di euro, ed è presente in tutto il Nord America, in Australia, in Francia, Spagna, Portogallo ecc, dove oltre alla ristorazione autostradale gestisce quella aeroportuale ed il sistema dei duty free, vero fiore all’occhiello della Autogrill S.p.a. Inoltre in Nord America la società ha in concessione anche la ristorazione di molti dei marchi di ristorazione più cool: Starbucks, Pizza HutKentucky Fried- Chicken, Burger King ecc.L’intrigo di affari e di scatole cinesi non si ferma qua, perché ogni volta che viaggiate su e giù per l’Italia la famiglia Benetton sentitamente vi ringrazia ed attraverso la holding di famiglia Edizioni srl corre a partecipare pure in Sintonia s.p.a per il 79.08%, un’azienda che possiede l’85,45% della società InvestimentiInfrastruttre Spa, che a sua volta controlla il 29,35% di Gemina.
Gemina è l’ennesimo tassello della galassia delle partecipate Benetton, ed una delle più importanti, perché attraverso di lei la famiglia trevigiana controlla il 95,76% di Aereoporti di Roma s.p.a, e quindi gli aeroporti della Capitale. Questo è il grosso della rete di affari gestiti dai Benetton, ed ho accuratamente evitato di addentrarmi nel settore della manutenzione dei servizi e della rete, che come avrete capito vede Edizioni srl in prima linea con una serie di partecipate dal 100% in giù.
Se a questo punto tra sigle e percentuali vi è venuto un gran mal di testa, state tranquilli: è tutto normale. Volete che vi faccia un riassunto? Bene: nel 1999 lo Stato Italiano ha ceduto due aziende del gruppo IRI, Autostrade e Autogrill, alla famiglia Benetton, che di fatto hanno assunto il monopolio assoluto nel settore della ristorazione aeroportuale ed autostradale. In questa operazione lo Stato si è perso un fatturato annuo di 8 miliardi circa. La domanda che a cui voglio tentare di dare uno straccio di risposta è: perché? Come è stato possibile perdere uno dei tanti fiori all’occhiello dell’industria italiana? Che strategia economica c’è stata dietro a questa cessione?
L’assassino è sempre il maggiordomo.
21 aprile 1996.
Il primo Governo Berlusconi è durato solo due anni. La gioiosa macchina da guerra di Occhetto è stata riposta in cantina e sembra che il bipolarismo stia finalmente nascendo. Destra e Sinistra hanno trovato i loro alfieri in un Silvio Berlusconi arrembante che raduna sotto di sé Forza Italia, Alleanza Nazionale, i Cristiani Democratici Uniti ed il Centro Cristiano Democratico. La Sinistra post Bolognina sembra averne avuto abbastanza di falce e martello e si rifugia in un rassicurante Romano Prodi, già presidente dell’IRI dal 1982 al 1989 e durante un piccolo periodo tra il 1993 ed il 1994. Per la cronaca, sotto l’ala moderata di sinistra scendono in campo: il PDS (con dentro la Federazione Laburista, i Cristiano Sociali ed i Comunisti unitari) i Popolari per Prodi (un’accozzaglia di sei partiti), la Lista Dini, i sempreverdi Verdi, il Patto Segni, i Socialisti Italiani e pure il Partito Sardo D’Azione. Rifondazione Comunista si coalizza ma da lontano, con un patto di desistenza che porterà il Governo Prodi I a cadere miseramente ad ottobre 1998. Prenderà il posto di Romano Prodi un sempre pronto Massimo D’Alema, con la voce accorata ed il baffetto tremante, che sarà a Palazzo Chigi nel 1999, l’anno di privatizzazione del Gruppo Autostrade. Le carte ci dicono che in quell’anno presidente dell’IRI è quel Gian Maria Gros-Pietro che abbiamo citato all’inizio.
Alzi la mano chi lo ha mai sentito nominare. Nessuno. Benissimo.
Diamo un occhio alla sua biografia. Classe 1942, laurea in Economia all’Università di Torino dove insegnerà fino al 2004 prima di passare alla Luiss. Dal 1974 al 1995 ha diretto il Ceris (Centro di Ricerca sull’Impresa e lo Sviluppo) in seno al CNR. Lo ritroviamo nel 1992 Presidente della Commissione per le Strategie industriali nelle privatizzazioni del Ministero dell’Industria e nel 1994 diviene membro della Commissione per le Privatizzazioni istituita da Mario Draghi. Nel 1997 assume la presidenza dell’IRI e nel 1999 passerà ad ENI. Gros-Pietro è un pezzo grosso, anzi grossissimo, del settore economico-finanziario italiano, perché ad oggi lo ritroviamo pure presidente del Consiglio di Gestione di Intesa San Paolo.
Come abbiamo visto, il ’99 è l’anno clou per la privatizzazione del Gruppo Autostrade, che viene ceduto indirettamente al gruppo Atlantia s.p.a, controllata da Edizione srl, la holding di famiglia dei Benetton. Tenente bene in mente che di tutte le partecipate Benetton è Atlantia s.p.a ad effettuare l’acquisto. Il colpaccio è grosso, se è vero che Autostrade, già Spa nel 2002, passerà da un fatturato di 2359 milioni di euro nel 2002, a 5840 milioni circa nel 2011. Un colpo duro per il nostro Stato, per le nostre casse, per il nostro comparto industriale. Ma la svendita dell’IRI è necessaria, ci viene detto. C’è il risanamento da fare, non si può aspettare oltre.
E così Gros-Pietro firma la cessione, e la famiglia Benetton ringrazia.
Fin qui è storia nota.
E’ un po’ meno noto invece che fine faccia Gros-Pietro dopo questa operazione.
Già, lo vogliamo perdere di vista proprio adesso che abbiamo imparato a conoscerlo?
A fine ’99, dopo il colpaccio di Autostrade, Gros-Pietro viene nominato presidente dell’ENI, per seguire la privatizzazione di quest’altro colosso. Ma è nel 2002 che la sua carriera prende il volo, perché dal 2002 al 2010 Gian Maria Gros-Pietro, gran privatizzatore italiano, andrà a presiedere … indovinate che cosa?… proprio la Atlantia S.p.a, la società alla quale solo tre anni prima, come dipendente pubblico, aveva svenduto la gestione dei servizi autostradali italiani!
E così il dado è tratto.
Gros-Pietro vende, Benetton compra, Benetton ringrazia, schiocca le dita e Gros-Pietro viene assunto.