Il dramma del celebre jazzista incarcerato per droga in Versilia nel 1960: in un libro la storia di 16 mesi
Il grande Chet che suona seduto sul davanzale della camera d’albergo. Che viene arrestato nella toilette di un’area di servizio, sulla strada per la Bussola di Focette. Henghel Gualdi che con il suo clarino e quattro accompagnatori improvvisa un concerto, la sera di Natale, sotto il carcere di Lucca, dove Chet Baker è rinchiuso, e viene subito interrotto dalle guardie. Le avventure e le disavventure di Chet Baker, tra i maggiori trombettisti jazz del secolo scorso, erano entrate da tempo nei racconti mirabolanti, magari un po’ romanzati, di chi ne era stato testimone, in quella parte di Toscana compresa tra Lucca e il mare della Versilia. Domenico Manzione, lucchese, magistrato ad Alba, a quei racconti ha aggiunto una ricerca negli archivi del tribunale locale e intorno ci ha costruito un libro, «Il mio amico Chet», appena pubblicato da Maria Pacini Fazzi Editore.
«Un’idea nata quando un giorno un amico rievocò i tempi in cui i ragazzini come lui si trovavano sotto le mura per ascoltare il suono della tromba di Baker che usciva dalla cella nel carcere di San Giorgio – dice -. Il racconto mi fece venire la curiosità di vedere che cosa c’era nelle carte processuali, che ho interamente recuperato. A queste ho aggiunto la storia, verissima, dell’edicolante di Valdicastello che divenne amico del musicista detenuto, insaporita da una minima dose d’invenzione». Nell’agosto del 1960, Chet Baker, grande musicista jazz in fuga dagli Stati Uniti per problemi di droga, viene fermato nel bagno di un distributore di benzina sulla provinciale che da Lucca porta all’autostrada per Viareggio. La occupa da un’ora e mezza quando il benzinaio decide di chiamare la polizia, che abbatte la porta a spallate. Trovano una scia di sangue, una siringa, fiale di Palfium e un americano che dice di essere, da verbale, «Baker Chesney Henry».
Seguono le indagini, il processo, la condanna, l’appello che arriva a fine ‘61, quando Baker ha giù scontato 16 mesi di carcere. Negli ultimi mesi gli viene concesso di esercitarsi in cella, per cinque minuti, due volte al giorno, e il suono della sua tromba si diffonde per la città come il pianto struggente di un uccello in gabbia. Di qua e di là dell’Oceano all’epoca si parlò molto e si scrisse altrettanto di queste vicissitudini tristi e molto paradossali (l’Italia allora aveva una legislazione particolarmente severa, in altri Paesi europei il Palfium era legale), ma oggi la storia sembrava un po’ dimenticata. «Una vicenda – racconta Manzione – che ci racconta un’Italia che appare lontanissima, anche se in fondo sono passati solo 50 anni.
Tanta storia è passata da quelle parti, e per me, e credo per tutti i lucchesi della mia generazione, la Bussola non era tanto il jazz o Chet Baker quanto, semmai, le contestazioni del collettivo pisano che lanciava uova marce sulle pellicce delle signore, la mondanità degli Anni 60. Da magistrato, la sorpresa è stata trovare un sistema giudiziario che pareva funzionare più celermente, da un lato, e dall’altro un modo di lavorare decisamente più sbrigativo, con molte garanzie in meno per l’imputato». Come finì la storia, lo sappiamo bene. Per quanto la detenzione italiana l’avesse di fatto costretto a uscire dalla dipendenza, Baker non tornò più ai fasti degli Anni 50, quelli che l’hanno consegnato alla storia del jazz. Suonò ancora molto, e molto in Italia, e morì nel 1988 a Amsterdam, cadendo dalla finestra della stanza dell’hotel in cui alloggiava. Tutti pensarono che avesse voluto suicidarsi, ma non i lucchesi, che lo ricordano ancora, con la sua tromba, seduto sul davanzale della stanza numero 15 dell’Hotel Universo, in piazza del Giglio.
Piero Negri
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