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Basta appelli, manifesti e distinguo: per i moderati e i riformisti è il momento di unirsi davvero nel "partito che non c'è"
Creato il 23 settembre 2012 da David Incamicia @FuoriOndaBlogL'estate che ci ha appena lasciati è stata fra le più torride che si ricordino, e non solo per la cappa d'afa che ha ammorbato il clima dell'intera Penisola. Tanti sono stati i fatti sociali ed economici caratterizzati dal disagio e dalla protesta, quasi sempre determinati, accompagnati o aggravati dai nefasti effetti della cattiva politica: dal grido di dolore della Sardegna, sempre più esposta alle metastasi di politiche industriali scellerate e non più sostenibili, al puntuale ricatto della Fiat in grado di sopravvivere alle regole della concorrenza, e di preservare i posti di lavoro, solo invocando e ottenendo gli aiuti di Stato, passando per la lotta fra disperati della città di Taranto sospesa fra il bisogno di tutelare l'occupazione e il diritto a non morire di inquinamento. Sullo sfondo, il perpetuarsi delle difficoltà a far fronte a una crisi economico-finanziaria che non accenna a temperarsi e le solite diatribe della politichetta nostrana, eternamente assorbita da rovelli autoreferenziali incomprensibili ai cittadini e protagonista di ricorrenti e trasversali scandali che tanta acqua portano al mulino della pericolosa anti-politica viscerale in salsa grillina.
Da questo scenario desolante non possono che aumentare le incognite rispetto al futuro prossimo dell'Italia, che fra qualche mese sarà chiamata a un appuntamento elettorale decisivo per le proprie sorti. E la domanda fondamentale è sempre la stessa: dopo Monti chi ci governerà? Soprattutto, con quali programmi e obiettivi? Più volte si è detto delle difficoltà della nostra classe politica ad auto-riformarsi, partendo proprio dalle regole di funzionamento della democrazia. Tanto che i partiti, innanzitutto quelli principalmente protagonisti della cosiddetta seconda Repubblica, incapaci di partorire una nuova legge elettorale e di rinunciare alle ingenti prebende pubbliche, brancolano nel buio di esperimenti improbabili come le "primarie di coalizione", in casa Pd, o affidandosi all'immarcescibile carisma dell'"uomo solo al comando", come nel caso del Pdl.
E intanto la distanza del Palazzo dal mondo reale continua ad aumentare, e con essa cresce la diffidenza dei partners internazionali nei confronti delle capacità dell'Italia di "fare sistema" e di tenere fede agli impegni assunti su scala globale. In quale Paese europeo, del resto, esistono forze politiche che mentre sostengono il governo approvandone i provvedimenti di natura sociale ed economica, si alleano con chi quegli stessi provvedimenti li osteggia al punto da incitare alla rivolta di piazza? Se il Pd non ha il coraggio di difendere le proprie scelte recenti, è davvero arduo non prevedere che sia destinato ancora una volta alla marginalità. Allo stesso modo il Pdl, senza la forza e gli strumenti di trasformarsi da soggetto padronale in vero e proprio partito.
Ma anche volendo dare per buona la prospettiva che Monti s'accontenterà alla fine di svolgere il suo ruolo di senatore a vita, nell'auspicio che avrà nel frattempo provveduto a rendere l'economia nazionale molto più solida di quella da lui stesso ereditata dai precedenti governi, quali concrete alternative esistono al consunto schema bipolare destra-sinistra tanto caro ai protagonisti degli ultimi vent'anni della vicenda politica italiana? Apparentemente nessuna, ma come le varie rilevazioni demoscopiche continuano a svelare c'è nel nostro Paese tantissima voglia di rinnovamento che non cede alle lusinghe del populismo. Insomma, una vasta area abitata da persone normali, stanche delle degenerazioni della seconda Repubblica e ansiose solo di essere degnamente rappresentate.
L'esperienza riformatrice montiana, pur se annacquata dai continui blitz dei partiti "di lotta e di governo" che lo appoggiano in Parlamento, è indubbio che non potrà nel 2013 essere cancellata con un tratto di penna. Ed è indubbio pure che in assenza di un vero polo "centrale" organizzato, che faccia dell'impegno di continuare a riformare il Paese la propria bandiera alle prossime elezioni, il rischio che dal voto esca per l'ennesima volta una maggioranza divisa e incapace di governare è più che alto. Urge, pertanto, che tutti i movimenti di opinione, le associazioni, le singole sensibilità e finanche i soggetti politici tradizionali che hanno a cuore un orizzonte autenticamente innovatore, tentino di coordinarsi e di proporre una piattaforma unitaria.
Perché questo non è più il tempo dei velleitarismi, benché animati da un'apprezzabile buona volontà, né dei distinguo fra società civile e politica militante, fra liberali di destra e riformisti di sinistra, fra cattolici moderati e laici democratici: occorre che le varie iniziative di comune segno riformatore sorte negli ultimi tempi smettano di produrre appelli e manifesti, tutti uguali e sovrapponibili, e lavorino invece seriamente alla costruzione di quello che da più parti viene invocato come il "partito che non c'è", affinché finalmente ci sia. La recente polemica fra la neonata "Lista Italia" promossa dall'Unione di Centro di Pierferdinando Casini e la fondazione Italia Futura, prossima all'avventura politica, che fa riferimento a Luca Cordero di Montezemolo è il classico esempio di "tafazzismo" che mina la possibilità per il grande popolo degli italiani onesti e silenziosi - in una parola: "sobri" - di affidare le proprie speranze di rinascita a una nuova opzione politica.
Certo, l'incognita sulla legge elettorale e la resistenza sulla scena pubblica del macigno Berlusconi frenano ogni entusiasmo ecumenico e accentuano le diffidenze e la competizione. Ma mai come ora, se si ha realmente a cuore il destino della Nazione, bisogna anteporre alla tattica la strategia, alla rendita (personale o di partito) la lungimiranza. E allora, che gli economisti di Fermare il declino con la stessa Italia Futura, i montiani di Indipendenti per l'Italia, i liberal del Pd con la loro Agenda Monti, i circoli di Società Aperta presieduta da Enrico Cisnetto, i giovani di Zero Positivo, il Movimento d'Opinione per l'Agenda Italia promosso dal quotidiano "L'Opinione" e dall'associazione Sedizione Liberale, i comitati che si riconoscono nelle proposte di Matteo Renzi, assieme a quella parte di ceto politico più responsabile che ha finora garantito il sostegno al governo Monti senza riserve e mal di pancia, mettano da parte differenze, invidie e vecchie ruggini e regalino ai tanti elettori desaparecidos un approdo affidabile e duraturo. Impedendo loro di sfaldarsi in mille rivoli destinati ad accrescere il fronte dell'anti-politica o, più probabilmente, a disertare le urne.
Se quanti si professano liberali, riformatori e moderati, siano essi politici di lungo corso o illustri esponenti della società civile, non dimostreranno coi fatti di volersi impegnare univocamente per l'affermazione degli ideali e dei valori enunciati nei rispettivi programmi, appelli e manifesti, non solo renderanno vani i progressi ottenuti grazie alla parentesi "tecnica" ma condanneranno l'Italia a passare dal cesarismo immorale e privatistico berlusconiano al conservatorismo dirigista e collettivista dell'asse Bersani/Camusso/Vendola. E a quel punto, rassegnarsi al declino e all'emarginazione nel mondo sarà inevitabile. Si faccia presto, dunque, perché sono milioni gli italiani pronti a sventolare l'unica bandiera di cambiamento e di salvezza nazionale nella quale si riconoscono: quella Tricolore.
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