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Benito Mussolini: il mio 25 luglio

Creato il 03 dicembre 2011 da Casarrubea

AUTORE: Benito Mussolini

TITOLO: La giornata del 25 luglio

Kew Gardens, Tna – Pro /Uk, Si tratta di uno scritto di Mussolini incluso nell’Italian Collection, German Foreign Ministry,  Duce Documente, secondo esemplare fotocopiato dalla trascrizione tedesca ai nn. 263605-263608.

Benito Mussolini: il mio 25 luglio
Terminata la seduta del Gran Consiglio alle ore 2,30 circa, rientrai nel mio ufficio, dove fui raggiunto da Scorza, Buffarini, Trincali, Biggini, Galbiati. Fu discusso se tutto ciò che si era votato era legale, ma io non mi interessai gran che alla questione. Scorza, che aveva pronunciato durante la seduta, quale ultimo oratore, un discorso senza colore e forse senza convinzione, chiese di accompagnarmi a casa.

Il che avvenne. Ripensando ora a taluni atteggiamenti dello Scorza, dubbi fortissimi sorgono nel mio spirito. La chiusa del suo discorso all’Adriano, nel quale prospettava la possibilità di “cadere” sia pure con decoro, aveva avuto una ripercussione sinistra in molti ambienti. Egli aveva assunto un atteggiamento di palese antagonismo allo Stato, con provvedimenti che ne turbarono profondamente l’amministrazione. Alcune sue proposte da me bocciate, rivelavano in lui, una mancanza di sensibilità e di equilibrio. Dopo Gentile, avrebbe voluto far parlare Croce (eterno binomio) si propose che il Partito  – da lui rappresentato – si recasse ufficialmente dal Papa a offrire un milione per la ricostruzione di San Lorenzo. Un saluto reverente al Papa era contenuto nella chiusa dell’Ordine del giorno Scorza, non votato al Gran Consiglio. Saluto che a detta del conte Ciano non sarebbe stato, tra l’altro, gradito al Vaticano. Un giorno lo Scorza, d’improvviso mi disse: Ora vi faccio del giallo, anzi del giallissimo. Siete sicuro di quelli che vi circondano? Risposi che non mi ero mai posto il problema. Successivamente – pochi giorni prima della seduta  – ripetè l’interrogativo a base di giallo e giallissimo aggiungendo: che cosa accadrebbe se una notte, qualcuno penetrasse a villa Torlonia? Risposi: probabilmente nulla! Tuttavia mi limitai a far cenno di ciò, a De  Cesare, ma senza insistervi. Conosceva lo Scorza, quanto si preparava e anche il testo dell’ordine del giorno? Certamente, almeno nella prima versione che egli mi sottopose e non mi spiegò molto chiaramente come l’avrebbe ottenuta. La versione posta ai voti era più breve. Congedato lo Scorza a Villa Torlonia, trovai mia moglie, inquieta, che mi attendeva. Colla sensibilità delle donne, coll’intuito delle donne, essa aveva l’impressione che qualche cosa di grosso si preparava. Povera Rachele! Quante poche gioie le ho dato e quanti dolori! Non mai durante trenta anni una settimana di pace. Essa meritava, forse, un altro migliore destino, che non fosse quello di essere legata alla mia turbinosa esistenza! Ci scambiammo poche parole e mi addormentai con uno di quei sonni brevi nel tempo e malgrado ciò, eterni, che hanno sempre preannunciato gli eventi decisivi della mia vita. Alle sette ero in piedi.  Alle otto a Palazzo Venezia. Regolarmente, come sempre da 21 anni, aveva inizio la mia giornata di lavoro. – L’ultima. Nel corriere non vi era nulla di molto importante, salvo una domanda di grazia per due partigiani dalmati condannati a morte. Telegrafai al Governatore Giunta, favorevolmente. Sono lieto – ora – che il mio ultimo atto di governo abbia salvato due vite, anzi due giovani vite. Di lì a poco mi telefonò Scorza, per dirmi che molti di coloro che avevano votato l’ordine del giorno Grandi, ne erano pentiti. Risposi che era ormai troppo tardi. Quasi nell’istesso minuto mi fu recapitata una lettera del ministro Cianetti, nella quale egli mi comunicava di ritirare il suo voto.  Non diedi la minima importanza al fatto. Chiesi di rintracciarmi Grandi. Volevo semplicemente chiedergli perché il giovedì – venuto a presentarmi il volume dei verbali del Comitato di Londra – egli mi avesse pregato, anzi scongiurato di non convocare il Gran Consiglio. Alibi? Manovra? Gli risposi che ormai era tardi e che gli inviti essendo stati già diramati, ogni rinvio era impossibile. Non fu possibile nella mattinata del 25 rintracciare Grandi. Egli era partito in automobile e non aveva lasciato detto alcunché. Poco dopo, giunse al consueto rapporto Albini. Avendogli fatto notare che egli non aveva diritto al voto, mi rinnovò con troppi superlativi attestazioni di lealtà, di devozione, che mi lasciarono indifferente. Intanto avevo fatto chiedere al generale Puntoni se il Re mi avrebbe ricevuto alle ore 17 a Villa Savoia o altrove. Mi fu risposto affermativamente. Alle ore 12, accompagnato da Bastianini, ricevei l’ambasciatore del Giappone, che veniva a nome del suo governo a chiedermi un apprezzamento della situazione. Gli risposi che la chiave di volta di tutta la situazione era rappresentata dagli sviluppi della lotta sul fronte russo e che bisognava tendere con ogni sforzo a estromettere la Russia dalla guerra, anche con la rinunzia alle conquiste territoriali effettuate. Ne conveniva e ci lasciammo, se Battistini ha lasciato traccia del colloquio vi si troveranno i dettagli. Poco dopo ricevetti Galbiati, il quale fra l’altro mi disse che la partenza della divisione M, non aveva avuto inizio in seguito al bombardamento del  nodo ferroviario di Roma. E mi propose di visitare il quartiere bombardato. Gli feci osservare che la visita poteva sembrare tardiva, ma egli mi rispose che si trattava di vedere come procedessero i lavori. Ci recammo così a San Lorenzo. I lavori, in realtà, non procedevano affatto o quasi. Il quartiere era purtroppo stranamente liquidato. Qualche gruppo di popolani mi circondò, raccontandomi episodi e movendo lagnanze. Feci distribuire sussidi. Verso San Lorenzo  – la Chiesa – gruppi di premarinai mi improvvisarono una dimostrazione. Erano le 15. L’aria soffocante così sulle cose come sulle anime.  Grava dal cielo immobile su Roma. Rientrai a Villa T. Consumai la solita colazione e trascorsi un’ora a conversare con Rachele, nel saloncino cosiddetto della musica. Mia moglie più che impressionata era ormai allarmata davanti a qualche cosa che stava per succedere. Alle 16 mi vestii in borghese e accompagnato da De Cesare mi recai a Villa Savoia dove S. M. mi attendeva sulla soglia della Palazzina. Il colloquio durò mezz’ora. Al momento del congedo sulla soglia, il Re mi strinse la mano con molta cordialità. La mia macchina mi attendeva dal lato destro della palazzina, ma mentre mi dirigevo da quella parte, un capitano dei CC  mi bloccò dicendomi: “S.M. mi ha ordinato di proteggere la vostra persona” e poiché io accennavo ancora di salire nella mia macchina, egli mi fece salire su una autoambulanza già pronta da tempo. Evidentemente! Salì con me anche De Cesare. Guardati a vista da due agenti in borghese muniti di moschetti mitragliatori, fecero un lungo accidentato percorso – con balzi notevoli  che misero qualche volta in pericolo la stabilità del veicolo. Dopo una breve sosta in una caserma dei RR. CC., che non ricordo, giungemmo alla Caserma Allievi Carabinieri. Io fui condotto nell’Ufficio del colonnello. Guardie con baionetta furono messe nel corridoio: da parte degli ufficiali trattamento cordialissimo. Alle ore 1 del 26, il generale Ferone, che avevo conosciuto in Albania, mi portò un biglietto del Maresciallo Badoglio che qui trascrivo: “All’Eccellenza il Cav., etc…” “Il sottoscritto Capo del Governo tiene a far sapere a V.E. che quanto è stato eseguito nei Vostri riguardi è unicamente dovuto al Vostro personale interesse, essendo giunte da più parti precise segnalazioni di un serio complotto verso la Vostra persona. Spiacente di questo, tiene a farvi sapere che è pronto a dare ordini per il vostro sicuro accompagnamento, con i dovuti riguardi, nella località che vorrete indicare”. Seguiva la firma autografa. Dettai una risposta alla missiva del Maresciallo e dissi che sarei andato volentieri alla Rocca delle C. Il colonnello Tabelloni mi comunicò che il generale dell’Arma mandato alla Rocca per un sopralluogo, aveva risposto che tutto era in ordine o quasi. Così trascorse il lunedì. Spesso conversarono con me il colonnello Chiricò, il maggiore Bonitatibus, il colonnello Tabelloni (non dimenticherò la amabilità della di lui moglie che mi mandò tè e gelati di frutta), il generale Delfini, il medico Ten. Col. Santillo casertano e quindi inguaribilmente afflitto per la soppressione della provincia di Caserta. Fu un errore! Ero oramai convinto che sarei andato alla Rocca: Viceversa il martedì sera, verso le 10, venni fatto discendere e consegnato al generale Polito, della Polizia militare, nel quale riconobbi il commissario di Ps Polito, che aveva per 17 anni lavorato con me e al quale avevo affidato fortunate e clamorose operazioni di polizia. Durante il tragitto mi parlò del più e del meno, dopo che avevo constatato la direzione della marcia: non la Flaminia, ma l’Appia – meta Gaeta, molo Ciano-Corvetta Persefone – con un ammiraglio il Maugeri di Gela, decoratissimo e compitissimo. Durante il tragitto, conoscenza del genero, prof. Frugoni. Sosta a Ventotene e impossibilità di soggiorno. Continuazione verso Ponza, dove arrivavo verso le 11. Non è la residenza che avevo o avrei scelto. Trattamento cordiale. Nel primo giorno il colonnello Pelaghi e successivamente il colonnello Reoli e il tenente Di Lorenzo continuano ad occuparsi con molto tatto della mia “incolumità” personale non so da chi più minacciata, ora, che l’obiettivo dei complottatori è stato raggiunto e la mia persona fisica non ha più alcun valore, cioè, è uguale a quella di uno qualunque.

Ponza, 2 agosto 1943

Mussolini


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