Giovedì scorso, due giorni dopo l’intervento di Barack Obama, anche Benjamin Netanyhau ha pronunciato il suo discorso dal palco delle Nazioni Unite.
Le sue parole saranno ricordate soprattutto per il grafico che ha mostrato ai presenti per illustrare i progressi dell’Iran nell’ottenere un ordigno atomico.
Il primo ministro israeliano ha infatti mostrato una immagine stilizzata di una bomba, perfettamente tonda e con una miccia accesa.
Una icona vista mille volte nei fumetti e nei film comici e proprio per questo in grado di dare una immagine immediata della minaccia che, secondo Netanyhau, Teheran sarebbe quasi pronta a mettere in campo.
L’immagine eloquente usata dal premier serviva per evidenziare che, a giudizio dell’intelligence di Tel Aviv, l’Iran raggiungerà le conoscenze tecniche e soprattutto riuscirà ad ottenere una quantità di uranio arricchito al livello giusto per costruire una atomica al più tardi entro l’estate del 2013.
Si tratterebbe di una scadenza vicina, molto più prossima di quanto avevano pronosticato le valutazioni di intelligence americane, ma comunque tale da eliminare lo spettro di un attacco israeliano a sorpresa dall’orizzonte delle prossime elezioni presidenziali americane.
A quanto pare, malgrado i continui allarmi lanciati da Netanyhau a partire dall’inizio dell’anno, il “diavolo iraniano” non sarebbe così vicino a possedere quell’arma atomica che molti commentatori occidentali, tra cui Kenneth Waltz su Foreign Affairs, reputerebbero, se fosse vera, come un fattore di equilibrio in un Medio Oriente in cui solo Tel Aviv ne è l’unica titolare.
Come mai un simile cambio di rotta da parte di Netanyahu? Certo non profferte di pace manifestate anche da Mahmoud Amadinejad dallo stesso palco dell’Onu, qualche giorno prima, nel suo ultimo discorso di fronte all’Assemblea Generale.
Né i continui controlli degli ispettori dell’Aiea, che a giudizio dell’amministrazione Obama, dovrebbero accorgersi se Teheran decidesse di incrementare l’arricchimento dell’uranio dall’attuale 20% (necessario per scopi medici) ad un grado di purezza maggiore, utile a realizzare una vera bomba nucleare (anche se la stessa Casa Bianca pone anche l’attenzione sul fatto che, a questo punto, l’Iran dovrebbe disporre di quantità di uranio arricchito per motivi medici sufficiente per i prossimi 6-10 anni.
E allora perché il primo ministro ha deciso di abbassare i toni, dopo che, proprio all’inizio di settembre, aveva usato parole di fuoco contro la scelta di Barack Obama di non dare importanza ai suoi allarmi e alla necessità di porre Teheran di fronte ad una chiara linea rossa da non superare?
Prima di tutto proprio quanto detto dal presidente nel suo discorso all’Onu, due giorni prima, in cui Obama, in parte per ragioni elettorali (per assicurarsi il voto ebraico in stati in bilico come Florida o Nevada) e in parte per scelta politica, aveva affermato che gli Usa non si sarebbero limitati ad una azione di contenimento dell’Iran, ma che avrebbero agito per evitare che potesse acquisire l’arma atomica.
In secondo luogo, la prospettiva sempre più probabile che, alla Casa Bianca, nel prossimo quadriennio, non siederà il suo amico dai tempi di Boston, Mitt Romney, ma proprio quel Barack Obama, oggetto di innumerevoli attacchi politici e con cui però Netanyahu sarà costretto a convivere nei prossimi anni.
Certo, il prossimo 3 ottobre, vi sarà il primo de tre dibattiti presidenziali tra Romney e Obama e da come si comporteranno i due candidati si potrebbero avere conseguenze riguardo la scelta dell’uomo che guiderà gli Usa fino al 2016, ma, molti sondaggi, ormai danno Obama in netto vantaggio sul ticket Romney-Ryan in molti “swing states”, gli stati in cui si deciderà la corsa alla Casa Bianca.
Di conseguenza Netanyahu ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco e, di fronte ad una possibile rielezione di Obama, è stato costretto a mettere la sordina ai suoi allarmi e a evitare quell’”october surprise”, la sorpresa di ottobre, data da un possibile attacco preventivo contro l’Iran, prima delle elezioni del 6 novembre.