A Berlino ha aperto pochi giorni fa la Dream House di Barbie, la casa dei sogni a grandezza naturale, dove si possono visitare le stanze e gli armadi della bambola che da sempre divide le coscienze delle donne. Un modello disumanizzante, eppure ad oggi migliore di tanti altri più smaccatamente sessualizzati e privi di personalità: non si può certo negare che Barbie abbia svolto le carriere più disparate e originali, diventando persino campionessa pilota di Formula Uno, ambito prettamente maschile, ma non ha una storia “di carattere” nemmeno lei, si tratta prevalentemente di incursioni in vari mondi di immedesimazione infantile, non incarna di certo una donna con un progetto o un sogno o una carriera.
A due passi da Alexander Platz è sorto il monumento alla bambola corpo perfetto, alla bambola bellezza inverosimile.
Un monumento che però già rischia di tramutarsi in mausoleo.
In concomitanza con l’inaugurazione della casa, nasce infatti anche chi la vorrebbe già demolire.
Un gruppo facebook “Occupy Dream House”, sorto già a Marzo, dove femministe (tra cui il gruppo Pinkstinks ), antifasciste e cittadine berlinesi semplicemente indignate hanno lanciato ed organizzato una manifestazione proprio contro la nuova attrazione della città.
“It’s all about pink?” si chiedono queste donne.
I 2500 metri quadri di casa di Barbie, sono infatti rosa, fuxia, lilla, glicine, tutte la variazioni di una femminilità biondo platino.
Un modello unico, indiscutibile, che unisce alla sensualità delle recenti modifiche dell’aspetto di Barbie ( occhi più felini, vita assottigliata ) a un sostanziale tradizionalismo delle comunicazioni e degli stessi modelli proposti. E questa sarà un’attrazione rivolta a bambine di tutto il mondo che in tutto il mondo cercherà per l’ennesima volta di confermare che esistono luoghi e giochi e ruoli per femmine, ben separati da quelli maschili, ben identificabili dal colore rosa.
‘Non vogliamo che le ragazzine, soprattutto nell’età della scuola primaria, vengano esposte a una propaganda sessista‘ si legge ancora su Occupy Dream House “Percio’ protesteremo pacificamente per un’educazione infantile senza sessismo. Ci sono molte alternative a Barbie.”
Le donne antifasciste che hanno aderito alla protesta sottolineano come, tra l’altro, l’adesione di Barbie ad un modello, ma soprattutto ad un immaginario di donna bionda, caucasica, alta, perfetta, dedita alla casa, incredibilmente capace di gestire sorelline biondissime, ricordino tristemente un modello socio-familista nazista, ricordino una propaganda ariana che ancora è una ferita aperta per molti tedeschi.
Gli ideatori dell’attrazione, la seconda al mondo dopo una identica in Florida, descrivono l’esperienza come “una passeggiata in un guardaroba apparentemente senza fine”, si possono infatti ammirare gli armadi di Barbie come fossero teche di opere d’arte, estasiarsi di fronte al ritratto di lei e Ken, infine cucinare dei muffin virtuali nella cucina fuxia mentre dai maxi schermi Barbie ripete quanto siamo carine.
Uno scorcio della Dream House
Le donne di Occupy Dream House ( e qualche uomo a dire il vero ) hanno quindi organizzato una manifestazione, fin sotto le pareti rosa della casa incriminata, esibendo cartelli con scritto “Pink Stinks” ( il rosa puzza ) “Barbie is not my baby” , “I will free you from the horror house” ( vi libereremo dalla casa degli orrori ).
Un aspetto su cui le contestatrici hanno molto insistito è poi il canone estetico mediatico-pubblicitario che Barbie rappresenta e suggerisce:
“Questo mondo di sogno suggerisce che le donne non possano essere altro che bellissime e magre” dichiara infatti Franziska Sedlak del gruppo ODH “Ma la vita non è tutta incentrata sull’essere belle tutto il tempo”.
“Questa casa” aggiunge un’altra manifestante “simboleggia l’ossessione per la bellezza e la discriminazione delle donne nella vita contemporanea odierna. Rappresenta un clichè, uno stereotipo del ruolo femminile nella società“
Tra i manifestanti, una donna a seno scoperto alzava una croce in fiamme, mentre sul suo corpo seminudo aveva scritto
“Life in plastic is not fantastic”
E’ proprio questo l’aspetto che, al di là delle speculazioni sociologiche, sembra infatti stare più a cuore a quante scese in piazza a protestare. Un’esistenza di plastica, un corpo di plastica, aspettative di plastica, in un periodo storico in cui tutto è lacrime e sangue -più per noi che per la Germania, ma comunque partecipiamo della stessa crisi – ormai stona, è retrogrado e a tratti offensivo. E in moltissimi non vogliono più che bambine e giovanissime crescano con l’unica aspettativa di alte decoltè fuxia, muffin tutto il giorno e bambini da accudire.
La vita di plastica non è fantastica, la plastica ti soffoca e ti immobilizza, la carne invece è reale, mobile, elastica e puoi agire e migliorare.
Il corpo di plastica non vale niente. Quello di Barbie è scomodo, ingestibile, va bene per una donnina alta 30 centimetri e che non ha voglia di far niente nella vita, ma se fosse una donna vera probabilmente si romperebbe in due – quella vita è davvero trop
po sottile – non riuscirebbe a vedersi le punte dei piedi da quanto sono grosse le sue tette e le braccia sembrerebbero due spaghettini appesi a un enorme torace.Galya Slayen, una studentessa dell’ Hamilton college di Clinton, nel Connecticut, dopo aver combattuto e vinto l’anoressia, ha indagato la sua stessa ossessione per il corpo e ha realizzato uno studio sui modelli estetici fuorvianti ed innaturali proposti alle giovani ragazze. Tra questi ovviamente, Barbie, di cui ha realizzato una versione a “grandezza naturale”, come fosse una donna in carne ed ossa.
Ne è venuta fuori una donnona di un metro e 80, dalle misure 99-45-83, e che dovrebbe camminare a carponi per via delle gambe troppo esili.
Barbie non è il demonio, nè rappresenta per forza un modello che chiunque giochi con la bambola adotterà e da cui sarà osessessionata.
Però Barbie non esiste.
Non esiste nella vita reale una donna con il suo corpo, le sue proporzioni. Persino le più belle, quelle più osannate da media e fotografi, non hanno queste dimensioni, non avrebbero speranze di vita altrimenti.
La differenza tra vita in plastica e vita reale sembra a volte perdersi un po’, mentre continuano a proliferare programmi tv, riviste, interventi pubblici sul concetto di bellezza come valore quasi etico, morale. Una bellezza che deve conformarsi a un certo canone, a un certo modello, una bellezza che crea bisogni indotti per cui le donne alimentano l’industria della bellezza stessa, cosmetici, diete, abiti, accessori e persino medicinali di ogni tipo confezionati ad hoc per inseguire un canone che in realtà non esiste.
In Italia ci auguriamo di non dover vedere sorgere un monumento alla plastica, preferiamo lavorare tra la carne viva.
O al massimo, speriamo in qualche mattone, che se di case se ne devono costruire che siano almeno per abitare.