Un sentimento di nostalgia scaturisce dalle ceneri del PD e riguarda Pier Luigi Bersani, osannato durante l’ultima Festa dell’Unità a Roma
Fra lo sbarco brasiliano di Papa Francesco, ritratto come il figlio del popolo mentre trasporta un borsone più grande di lui, e l’attesissima nascita fra mille speculazioni del royal baby d’Inghilterra, le notizie della quarta settimana di luglio sono state proiettate come degni fari al di fuori dell’Italia, dove invece la situazione sembra farsi sempre più critica. Voglia di evadere, certo, le notizie viste dall’esterno sembrano sempre più belle. Peccato che fra futuri sovrani e avventurosi pontefici, l’ambiente italiano non risulti altrettanto idealizzato. Proseguono gli scontri e le incomprensioni in questo governo dalle intese mai trovate, fra un Letta sempre più criticato, cori razzisti che farebbero impallidire il più accanito degli ultras, grilli parlanti dalla cresta abbassata e un certo Alfano che di idee chiare non sembra averne. E c’è chi comincia a sentire la nostalgia di Bersani..
In tutto questo, il Partito Democratico persiste nella sua opera autolesionista, sprofondando sempre più in basso dai colpi ricevuti a destra, ma pure a sinistra, in quanto sfaldato sin dal suo interno nelle varie fazioni. Una storia già sentita, sin dagli anni del Partito Comunista, quando alla linea di Giorgio Amendola si contrapponeva quella di Pietro Ingrao: ma questi non sono più gli anni Sessanta. Siamo nel 2013 e la sinistra, ancora una volta, si pone come vittima dei propri dissidi interni, incapace di trovare un vero equilibrio, nonostante i buoni propositi.
Di programmi validi ce ne sono stati, a partire dal decalogo bersaniano, ma neppure lui è riuscito a reggere il peso di un partito strozzato fra altri due vincitori, di opposte ideologie politiche. Una vittoria mutilata quella del PD alle elezioni, che non è stato in grado di imporsi fra due colossi mediatici al pari di Grillo e Berlusconi, e che ha poi proseguito il suo tortuoso percorso, le cui tappe fondamentali sono state la ritirata di Bersani, la scelta di Enrico Letta nel ruolo di Primo Ministro e il boom alle elezioni amministrative. Un percorso ricco di ostacoli, soprattutto quello dell’attuale Presidente del Consiglio Enrico Letta, sulle cui spalle democratiche incombe Angelino Alfano, il memento mori della colossale opera.
Non è un caso che questo governo sia stato definito “democristiano”. L’attendismo vige sulle questioni fondamentali, fra cui quella del Porcellum, la cui abolizione servirebbe a donare una nuova ventata di ossigeno e libertà in questo clima angusto e repressivo. La questione è più urgente di quanto sembri, eppure il PD persiste nella sua inettitudine. La giustificazione di Letta sta tutta nella sua “educazione”, come si è espresso in un altro caso emblematico, quello kazako, ma la politica del quieto vivere non è quella di cui ha bisogno l’Italia. Forse non è neppure quella troppo avventata di Matteo Renzi, chi può dirlo, e di certo non è stata quella diplomatica di Bersani, ingenuo come il buon Berlinguer.
Una cosa però è certa, alla Festa dell’Unità di Roma un coro si è levato fra i tanti applausi, e ricordava proprio la calda accoglienza riservata solitamente al “più amato”: “C’è solo un segretario!”, diretto proprio a Pier Luigi Bersani.