Nei primi anni ’90 avevo un cane: Billo. Era il cane di famiglia ma l’avevo portato a casa io. Ricordo che quando l’avevo scelto tra i suoi fratelli avevo chiesto quale fosse il cucciolo più scorbutico e mi avevano indicato lui. Era un bastardino bruttino, di taglia piccola, col pelo da pastore tedesco, le orecchie enormi, le zampe anteriori da mastino e le posteriori da levriero. Sembrava fatto con gli avanzi di altri cani, ma aveva uno sguardo che parlava.
L’episodio che voglio narrare è questo. Sentivo ringhiare in cucina. Vuoi vedere che Billo ha beccato un topo? Sarebbe strano, mai avuti topi in casa, ma altrimenti che c’ha da ringhiare? Vado a vedere e trovo il cagnolino davanti al televisore acceso che digrigna i denti all’immagine di Umberto Bossi.
Perché ce l’avesse con lui non l’ho mai saputo. Gli insegnai che quello era Bossi e da allora, come pronunciavi il nome del capo delle camice verdi Billo impazziva dalla rabbia, abbaiava e cercava Bossi dappertutto, specie nel televisore, girando intorno all’apparecchio per vedere se stava dietro. Era un cane molto intelligente.
Luca Craia