Il giudizio di Elisabetta BartuccaSummary:
Da quel Balla coi lupi che gli valse due Oscar – uno come regista e l’altro come produttore – sono passati ventiquattro anni. Tanti per una carriera che lo ha visto ricoprire i ruoli più diversi, non abbastanza però per lasciar sedimentare una questione spinosa come quella dello scontro razziale. Così Kevin Costner torna a parlare di diversità “perché il razzismo in America è tutt’ora un grosso problema” e lo fa ancora una volta con un piccolo film, oggi come allora, se pensiamo che Balla coi lupi costò 16 milioni e ne incassò 500: Black and White di Mike Binder, vecchia conoscenza dai tempi di Litigi d’amore, si inserisce proprio in questa tradizione.
Costner interpreta e produce un film che lo ha commosso sin dalla prima pagina di sceneggiatura, la quinta che Binder gli mandò; la divorò in soli tre giorni al termine dei quali decise che quella storia meritava di essere raccontata, a costo di metterci dei soldi. E così è stato. Insolito vederlo nei panni di un nonno, l’avvocato Elliott Anderson, che affoga nell’alcol il dolore per la perdita delle due figure più importanti della sua vita, figlia e moglie: la prima morta di parto all’età di 17 anni, la seconda in un incidente.
Ora quello che gli rimane è la nipotina birazziale, Eloise, che la nonna paterna Rowena (Octavia Spencer) vorrebbe affidare alle cure del padre, Reggie (André Holland), l’uomo che l’aveva abbandonata subito dopo la morte della madre, a un passo dalla redenzione ma irrimediabilmente tentato dal crack. La battaglia per l’affidamento rispolvera rancori sopiti fino a quel momento e diventa l’occasione per riportare alla luce comportamenti, clichè, luoghi comuni di uno scontro di razze con cui l’America contemporanea non può non fare i conti.
Certo, un film che non brilla per originalità con un impianto narrativo tradizionale, che forse vale più nelle intenzioni che nella fattura; un dramma familiare e sociale, stemperato dallo humour che ne risolleva qui e lì le sorti. L’ironia con cui Octavia Spencer caratterizza il suo personaggio, le battute di una ragazzina (l’esordiente Jillian Estell) che bacchetta il nonno rimettendolo in riga, in un mondo in cui i bambini assumono le movenze degli adulti, la sequela di duetti tra l’alcolizzato e barcollante Elliot e l’audace nonna Wee Wee o il tutore tutto fare Duvan (Mpho Koaho), regalano gli unici guizzi del film, che purtroppo affoga i buoni propositi nella retorica e si rivela prevedibile ad ogni scena.
Magra consolazione il fatto che il film si ispiri ad una storia vera.
Di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net