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Black on Purpose

Da Suddegenere

Cosa ne pensate?

Black on Purpose: Race, Inheritance and Queer Reproduction, By Savannah Shange, trad. di Andrea Morgione:

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<<Nera di proposito: razza, eredità e riproduzione gay

La mattina della mia inseminazione, stetti in piedi, gelida, in una vestaglia di carta da esame, ricontrollando il numero del donatore di sperma sul lato della fiala. La mia partner cercò freneticamente l’email dell’ordine sul telefono prima che firmassimo, confermando che 7657 era in effetti corretto. Poiché la banca che avevamo utilizzato aveva soltanto cinque donatori di colore, sapevo che un minimo errore nel processo avrebbe quasi certamente significato che sarei stata fecondata dallo sperma di un uomo bianco. Il pensiero mi terrorizzava: in quanto figlia della schiavitù domestica, i temi del consenso, della razza e della crescita dei figli sono un’unica ferita in questo mio utero.

Quando cominciai a immaginare mio figlio, non pensai per nulla che sarebbero stati coinvolti nel processo fiale o numeri di donatore-volevo utilizzare un donatore conosciuto che era parte della nostra comunità estesa. In quanto scettica del potere della genetica di determinare granché sulla nostra intelligenza o sul nostro comportamento, tutto ciò che realmente mi importava era che il donatore fosse nero, e idealmente una persona di colore discendente da coloro che furono imbarcati sulle navi degli schiavisti proveniente da qualche parte nel Nuovo Mondo. In una email che inviammo in lungo e in largo alla ricerca di sperma, la mia partner e io scrivemmo assieme:

Mentre abbiamo una famiglia scelta razzialmente variegata e continuiamo a coltivarla, entrambe noi siamo state assai profondamente formate dall’esperienza di essere nere. Veniamo da una tradizione lunga generazioni di sforzo, recupero e genio culturale contro le previsioni più funeste, una tradizione condivisa da tutta la gente nera che discende da africani schiavizzati. Speriamo di trasmettere il potere e la promessa di questa eredità a nostro figlio, e pertanto cerchiamo un donatore nero.

 Persone incredibili si fecero avanti ed espressero interesse nell’aiutarci a costruire la nostra famiglia, ma a causa della nostra sfiducia nello stato, finimmo per scegliere la sterilità di una banca dello sperma, invece. Con così tanti esempi di famiglie nere ridotte a brandelli dai sistemi del servizio sociale e dai tribunali, e la maggiore visibilità delle famiglie gay nel bel mezzo degli alterchi legali sui matrimoni omosessuali, decidemmo che utilizzare un donatore noto avrebbe aggiunto un ulteriore strato di vulnerabilità al sempre già periglioso lavoro che è crescere un bambino nero in America. Così ci rivolgemmo alla banca dello sperma con la più grande gruppo nell’intera nazione di donatori neri ‘aperti’ o d’accordo con l’essere noti, e scegliemmo tra le nostre cinque (esatto, cinque) opzioni.

Pertanto, quando lessi per la prima volta che Jennifer Cramblett e Amanda Zinkon erano state fecondate con lo sperma del donatore sbagliato, il mio cuore sobbalzò. E se fosse successo a noi? Ma per quanto la tempesta di merda mediatica ci potesse far credere altrimenti, non si sarebbe mai potuto trattare di noi.

Sebbene la razza del donatore fosse importante per tutti e due e anche per la Cramblett e la Zinkon, i punti di contatto finiscono qui. Jennifer Cramblett e io non ‘preferiamo’ semplicemente che la faccia di nostra figlia rifletta la nostra. L’analisi dell’eredità razziale impone che teniamo in conto la mancanza di compatibilità tra l’essere neri e l’essere bianchi-non sono facce diverse della stessa moneta, o variazioni all’interno della stessa struttura razziale. Anche se ‘privilegio’ è un concetto utile per cominciare una conversazione sulla razza, il trattamento preferenziale è solo la ciliegina sulla torta della gente bianca. Come Cheryl Harris ci ha insegnato tanto tempo fa, l’essere bianchi è una proprietà trasmessa da una generazione all’altra, accumulando interessi lungo la strada. Dolorosamente, i corpi neri erano quella proprietà, la carne che continua a foraggiare il capitale bianco a costo della nostra umanità. Per quella ragione, io e altre afropessimiste intendiamo l’essere nere come (vicinanza alla) morte, sia sociale che materiale.

Anche se ero estremamente consapevole della possibilità di ricevere sperma da un bianco, alla Cramblett non è mai venuto in mente che lei avrebbe avuto qualcosa di diverso da un bambino cui lei avrebbe potuto lasciare in eredità il suo essere bianca. La schiavitù e le sue eredi spirituali, inclusi i Black Codes e Jim Crow, sottolineano il valore dell’essere bianchi come una proprietà. Non importa quanto sono poveri, ineducati o marginalizzati in altro modo, il fondamentale e inalienabile bene garantito alla gente bianca negli Stati Uniti è il privilegio della loro pelle. Contrariamente al fiume di commenti che hanno puntato al lesbismo della Cramblett come un motivo per lei di essere più ‘tollerante’ riguardo la razza, le lesbiche bianche in effetti hanno un grande incentivo nell’investire nel proprio capitale razziale proprio perché la loro sessualità le etichetta come diverse. In effetti, la Cramblett e la Zinkon operavano coerentemente con la logica omonazionalista quando si “spostarono a Uniontown dalla razzialmente variegata Akron perché le scuole erano migliori” (in altre parole: più bianche), con l’intenzione di lucrare sulla loro eredità razziale per dare vita a un nucleo familiare e assumere il ruolo di ‘bravi cittadini gay’ in una piccola cittadina americana. Dal momento che il razzismo contro i neri fa da impalcatura a ogni iterazione del nazionalismo statunitense, qualunque aspirazione di un’idillica vita da gay nel cuore di questo paese è anche un assenso alla morte per i neri.

Durante la sua apparizione televisiva, una Cramblett in lacrime piange il suo perduto accesso al donatore bianco che aveva prescelto, insistendo che

“Non era ciò che avevamo chiesto, ciò per cui avevamo passato mesi a decidere, ciò che volevamo.”

 Da una parte, questo è un cruccio di giustizia riproduttiva da manuale: una donna gay scippata del diritto di autodeterminare quali fluidi possano entrare nel suo corpo. Dall’altra, trovo ironico che proprio quella fiala che gli ha fatto crollare il mondo addosso assomigli così tanto a quella che abbiamo cercato in ogni dove. Scrivo questo articolo in maniera insolita, con una mano che culla la mia bellissima, benedetta neonata nera, e l’altra che picchietta sulla tastiera a caccia di significato. Per noi, ciò che volevamo non era un donatore di sperma nero e basta, ma volevamo avere una chance di dare vita a una figlia immersa in questa eredità di lotta per la libertà.

Numerosi post sui blog, tweet e catene di commenti hanno accusato la Cramblett di provare a trarre profitto da questa situazione, e hanno suggerito che stia traumatizzando sua figlia, Payton, che tra qualche anno scoprirà, guardando i vecchi notiziari, che i suoi genitori sono ‘razzisti’. Per me, questo riflette un fondamentale fraintendimento del concetto di razza in America. Il razzismo non i sentimenti della gente bianca, è una sistemazione strutturale di chi riesce a vivere, quanto bene e quanto a lungo. Invece di fare la morale su quanto e se la Cramblett e la Zinkon amino la propria figlia, potrebbe essere più utile vedere cosa l’affaire Cramblett mette in luce riguardo il valore percepito della vita nera in America.

Nella sua causa legale, la Cramblett ammette la sua “limitata competenza culturale relativa agli afroamericani” e proclama dolore e sofferenza a causa delle difficoltà quotidiane che ogni genitore di un bambino bianco affronta, offrendo come esempio il dover guidare fino a un quartiere nero che abitualmente non frequenta per far tagliare i capelli a Payton. Quello che la Cramblett non tiene in conto in modo cruciale è che il costo di essere neri non è misurato in quanto è difficile per noi vivere (far fare i capelli ai nostri bambini, attraversare il giorno di scuola piena di bianchi o l’ancor più bianco giorno del Ringraziamento senza derisione e isolamento), ma quanto è facile per noi morire.

Appena qualche giorno dopo che la Cramblett mise in atto la sua azione legale, un giudice di Detroit annullò le accuse di omicidio colposo pendenti su Joseph Weekley, l’agente di poliza che ha colpito con una pistola e ucciso Aiyana Stanley-Jones. La vita di Aiyana, sette anni, valeva così poco per lo stato che un reato minore di ‘scaricamento insicuro di arma da fuoco’ sarà sufficiente a rimpiazzare la sua giovinezza rubata. Mentre la Cramblett e la Zinkon aspettano di scoprire i risultati della loro ingiusta azione legale, i genitori di Rekia Boyd hanno solo l’amara consolazione di aver vinto la loro accusa di morte ingiusta contro il dipartimento di polizia di Chicago. Oltre il triste spettacolo delle uccisioni fuorilegge di gente nera per mano della polizia e dei loro agenti, i neri muoiono di morti poco cerimoniose e ancor meno necessarie ogni giorno a causa di un accesso alle istituzioni sanitarie di base radicalmente diseguale.

Più che statistiche da ripetere a pappagallo a una manifestazione, i corpi neri sviscerati in/dall’America perseguitano ogni mossa che faccio, plasmando il paesaggio delle mie ‘scelte’ riproduttive. Spesso guardo mia figlia e mi ritrovo nel panico: e se mi fosse sottratta prima di avere una possibilità di crescere? In quei momenti mi sento costretta a rimanere incinta ancora, e ancora una volta dopo quella gravidanza, come se guidando un’armata di figli neri potessi in qualche modo chiudere la ferita della perdita.

Volevamo annunciare nostra figlia, omonima sia di Harriet Tubman che di Jean-Jacques Dessalines, come l’erede di un emisfero di sogni di libertà omosessuale. Pomposo? Forse. Ma in un mondo dove avere una bambina di colore è la base per un’azione legale, un pizzico di spacconeria in più potrebbe aiutarci a sopravvivere. I cinquantamila dollari di danni che probabilmente saranno rimborsati alla Cramblett per la dura responsabilità di crescere il suo bambino di colore è qualcosa di oscenamente gretto se lo consideriamo un precedente legale che potrebbe essere citato da tutti i genitori neri. Andando oltre, se dovessimo esigere un riscontro non solo per la difficoltà della vita nera, ma anche per la costanza della morte nera negli Stati Uniti, lasceremmo la corporazione statale americana in bancarotta tanto finanziariamente quanto moralmente. Pertanto, forse, come la certezza che la notte dell’impero sfumi nel giorno, potremmo insegnare a Payton e Harriet a cantare con armonia una nuova, vecchia canzone: “Nessun può sapere all’alba/come questo giorno finirà”.

Molte grazie a Leigh Patel per aver aiutato a far scintillare questo riflesso, a Krystal Smalls per le sue affilate lenti teoretiche, a Alexis Pauline Gumbs per aver graziosamente condiviso la sua magia visuale, e a Aishah Shahidah Simmons per il suo lavoro creativo come una doula intellettuale.

 Savannah Shange è una giovane donna queer, lavoratrice e dottoranda aggiunta in Africana Studies and Education all’università della Pennsylvania. Studia forme circolate e vissute dell’essere neri attraverso gli strumenti dell’antropologia, l’afropessimismo e la critica ai gay di colore. La sua dissertazione è uno studio etnografico sull’essere neri e sull’educazione alla giustizia sociale a San Francisco.>>

Da the feminist wire, leggi anche (nelle trad. di Andrea Morgione):

silence broken Sister Lorde di Aishah Shahidah Simmons

noi che amiamo bell hooks, di Stephanie Troutman

non tutte le Donne Nere, di Nikki Patin

On Ferguson, the Fragility of Black Boys, and Feminist Futures, di Aliyyah. I. Abdur-Rahman


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