Si chiama Bobby Kennedy III, e con un nome così difficilmente passa inosservato. Soprattutto dal momento che ha scelto di debuttare nel cinema come sceneggiatore e attore. E’ lui, infatti, l’ideatore e protagonista di Ameriqua, commedia che – nelle intenzioni, e purtroppo solo in quelle – mira a sfatare i luoghi comuni che hanno gli statunitensi nei confronti degli italiani. Per dirla con parole sue, oggi in conferenza stampa: “Vivo da quattro anni in Italia, a Bologna, dov’è ambientato gran parte del film, e mi sono reso conto che i miei connazionali quando parlano del vostro Paese non hanno idea di cosa sia”. Oltre a “mafia, ottimo cibo e bella gente”, insomma, c’è di più. Anche se dal film – in uscita nelle nostre sale a maggio e diretto da Marco Bellone e Giovanni Consonni, entrambi da Mtv al cinema – non si direbbe. E le musiche originali del compianto Lucio Dalla, nonchè l’utilizzo di volti noti e accattivanti come Alessandra Mastronardi e Eva Amurri, e di nomi di un certo spessore come Giancarlo Giannini e Alec Baldwin, non bastano a risollevare una pellicola che per diversi motivi si situa sul margine delle commedie tendenzialmente non riuscite.
Smontare stereotipi mettendoli in scena: c’era questo alla base del film?
È stato un processo pazzesco, sin dall’inizio dalla sceneggiatura. Volevo far vedere l’Italia vera, che gli americani pensano sia riducibile all’idea di pasta e mafia, ma non è così. Questi ingredienti nel film ci sono, ma solo per prendere in giro appunto gli americani che lo guarderanno. Almeno, questo era l’intento e il mio sincero tentativo. Poi ogni film è sempre un quadro dipinto con cinquanta mani diverse. Non ricordo bene chi lo dicesse, ma concordo su tutta la linea.
Ci spiega meglio in che senso?
Semplice: cominci a scrivere quello che vuoi, ma poi ciò che ne esce non sarà mai la stessa cosa degli inizi. Io volevo raccontare come fossero unici il vostro cibo e la cultura che avete, e come per conoscere l’Italia occorre conoscerne innanzi tutto la lingua, la gente, e amare smodatamente questo Paese proprio come faccio io.
Sente di aver ereditato la passione per il cinema dalla sua famiglia, dato che diversi suoi parenti, a partire da Joseph Kennedy, si sono dedicati alla settima arte?
Sì, la mia famiglia si divide in politica e cinema. Il mio bisnonno, Joseph, fu uno dei primi grandi produttori di Hollywood: comprò studios a Los Angeles, fece quaranta film.
E’ vero che ha intenzione di girare un documentario su suo nonno Robert, fratello di John Fitzgerald?
In effetti sto lavorando per adattare una sceneggiatura su di lui andata persa negli anni Sessanta. Io l’ho ritrovata, e vorrei farne un film per il cinema. Però amo troppo la mia famiglia per prendere la cosa alla leggera: voglio prima essere sicuro di fare tutto per bene. Sarà il film della mia vita, non certo dei prossimi mesi. Tanto è un progetto che, per fortuna, non scade.
Il suo sogno è diventare regista, un domani?
Con il mondo di oggi, fatto di Twitter e una Rete in cui tutti stanno davanti a una telecamera, è facile costruirsi un brand attorno. Il mio sogno però è riuscire a girare qualcosa in America. Almeno prima di tornare in Italia e fare Ameriqua 2. Ma ripeto, parlo soltanto di un sogno lontano: per ora la mia passione resta scrivere. E’ quello che faccio da anni ogni giorno, per almeno otto ore.
di Claudia Catalli