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Da Paride

Ci intrufoliamo in casa d’altri, come ladri rubiamo notti a persone stanche d’esser lì dove sono, prendiamo il meglio della vita, le scivoliamo dentro, nelle vene, ci confondiamo all’emoglobina. Pesto a morte globuli rossi per rubare il loro ossigeno, li picchio forte, con una chiave inglese, la  numero 46. Non capisco il loro dolore, non piango con loro, più semplicemente non ci penso. Respiro, torno dentro, poi riemergo. Mi  mescolo al corallo, sono crosta, sono pezzo di terra, lembo di mare, il cielo è immobile. Non capisco; perdo  coscienza in cosce troppo strette, salto fuori come una quaglia in salotto, batto a terra, rimbalzo per poi rotolare sul pavimento d’una vecchia cascina di non so qual quartiere.  Il rachitico in piedi picchia sua moglie con un cucchiaino, lei si mette a gattoni lasciandosi così sculacciare, poi e il suo turno, ed allora è il marito a mettersi a pecora. il ragazzino in carne che attraversa il corridoio vede la scena, ma non sembra considerarla minimamente, è sempre la solita storia per lui, i suoi genitori non hanno le idee chiare questo è ovvio, ora deve pensare a nutrirsi, muove verso la cucina.
il frigo di una piccola villetta d’un quartiere residenziale, sa esser delle volte alquanto pittoresco. Due yogurt all’ananas, una mozzarella, qualche succo di frutta, latte, verdure, insalata, due porzioni d’avanzi, barattoli riempiti con non so quale ortaggio ed una persona perplessa che continua a fissare china tra gli scaffali chiedendosi cosa mangiare, porta gli occhiali, il ragazzino gli cede il posto, ha una cravatta ed indossa una camicia rigata, pantaloni firmati, mocassini neri, mentre, sopra di lui, la fine d’una giornata piena ed all’insegna dell’emergere, o semplicemente del trascorrere nel modo più logico e gratificante possibile. Non può sapere della vicina alle prese con l’ennesima scarpa smarrita, persa per strada nella concitazione, un tacco da 15, tirano su un sacco di problemi tacchi così, soprattutto quando con quel tacco hai appena cavato l’occhio al tuo principe azzurro, eccola a metter annunci, preoccupata, alle tre del mattino. Appende alla corteccia degl’alberi del posto annunci con su scritto <<A.A.A cercasi>>, presto qualcuno la chiamerà. Due tizi di ritorno dalla notte la notano al ciglio,<<notte strana la nostra>>, <<puoi dirlo forte>>, ora uno dei due si ferma, <<hai visto anche tu quel gatto!?>>, <<quale gatto!?>>, <<il gatto nero che è passato!!>>, <<non ho visto nessun gatto!>>, <<quella bestiaccia c’ha tagliato la strada, torniamo indietro!>>, <<e dove andiamo!?>>, <<a farci un’altro goccio>>, << e facciamone un altro!>>. Ed è forse davvero quando si smette << di qua!>>  il momento in cui trovare  buone scuse per re iniziare, <<sei sicuro sia quella la casa!?>>, <<sicurissimo!>>, <<dici che non ci sono!?>>, << allora non m’ascolti tu! Sono partiti dopo pranzo>>, <<se mi ribeccano lo sai che mi fanno, mi danno questa, più l’altra sulla quale han sorvolato prima, finisce che ci resto per un po’!>>, << andrà tutto bene,  al Dozza non ci vai, non sta’ notte!>>. I due storpi saltano la staccionata, forzano la porta, prima però si guardano in torno, poi entrano, e alla svelta. La casetta è buia, i due passano la cucina, è tutto fuori posto, non capiscono. Sul muro del salotto una striscia, sembra sangue. Gli storpi fanno altri due passi, dietro il divano due corpi, un mezzo rachitico e sua moglie, sulle scale, accovacciato, il marmocchio in carne continua a mangiare, ora ha lui il cucchiaino, quei due idioti se la son proprio cercata, lui è nudo, lei a pezzi.  A suo padre han cavato un occhio, lui ha visto tutto ed ora ha un nuovo gioco con sé, una bella scarpetta. Il telefono continua col suo tu tu, tu tu, tu tu, un altro dei giochi del piccolo di cui è già stufo. Gli storpi perdono la calma, è davvero difficile trovare una via d’uscita in un momento così: è caos allo stato puro, non lo si può dominare, e i due se ne rendono conto, fan per indietreggiare quando uno di loro nota le luci a intermittenza riflettersi nella vetrata all’ingresso.  Blu, rosso, poi ancora, blu, rosso, e di nuovo, blu, rosso.
Ora, lui è seduto al tavolo, l’altro lo tengono altrove, e non sa proprio come spiegare al tenente che con questa brutta storia non centra nulla, ma ora è tardi, adesso ha una camera al Dozza, e nuovi compagni di cella.

 


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