Il direttore dell’ufficio brasiliano dell’organizzazione caritativa internazionale “Aiuto alla Chiesa che soffre”, José Correa, è stato recentemente intervistato dal programma televisivo “Where God Weeps”.
Egli spiega che la composizione della popolazione brasiliana è formata da immigrati europei arrivati dal Portogallo e dall’Italia, dagli africani, portati in Brasile come schiavi per lavorare nelle piantagioni e dalle etnie locali originarie di quei territori. «Contrariamente a quanto è avvenuto negli Stati Uniti», dice Correa, «in Brasile queste tre componenti si sono mescolate fra loro, formando l’attuale popolazione brasiliana». Questo, è potuto avvenire, come abbiamo riportato nel dossier “Chiesa e colonialismo”, grazie alla grande opera dei missionari gesuiti che riuscirono a conciliare le diverse etnie. Basta solo ricordare che la città di San Paolo si originò attorno al Collegio gesuita di San Paolo di Piratininga (1554).
Parlando di vocazioni, Correa afferma che esse «sono in aumento in Brasile. La crescita era maggiore qualche anno fa, ma continua ad avere un trend positivo dell’1, 2 o 3% l’anno. Per dare un’idea, 30 anni fa avevamo circa 900 seminaristi in tutto il Paese, oggi ne abbiamo più di 9.000. E in alcune diocesi i seminari sono pieni, nonostante la maggiore selettività dovuta all’accresciuto numero dei canditati. Per esempio, nella città di São Paulo, dove vivo io, quest’anno abbiamo avuto 55 candidati, da cui ne sono stati selezioni 15 da far entrare in seminario».
Nell’intervista, apparsa su Zenit.it, è possibile anche leggere della forza dirompente delle sette pentecostali e dell’inadeguata evangelizzazione dei cattolici. Una risposta molto efficace è quella delle cosiddette “missioni popolari” che si occupano di una maggiore distribuzione del catechismo, lezioni catechistiche, conferenze per le coppie ecc… Tornando all’aumento delle vocazioni, l’esperto afferma: «La crescita è stata dell’ordine del 700% nel numero dei seminaristi in Brasile, negli ultimi decenni», tuttavia «i vecchi edifici non sono più adatti a contenere il grande numero di giovani che vogliono diventare sacerdoti».