E così Tsipras chiede ancora un prestito, e lo chiede a quelli che non solo considera suoi nemici ma che tratta pure con tracotanza, con arroganza, con superbia, con un comportamento che nessun termine descrive meglio della parola greca ὕβϱις. Se è vero che la Grecia ha inventato la democrazia (così come la demagogia, termini fra i quali sono in molti a fare confusione) è però altrettanto vero che non ne detiene l'esclusiva. Ma davvero si può pensare che tutti siano disposti a dialogare con chi li insulta? E, oltre alla sua ὕβϱις, cosa mette sul tavolo della trattativa (sempre più simile ad una di quelle che si vedono in un suq orientale) il demagogo Tsipras, su cosa fonda questa sua ennesima richiesta d'aiuto? Non sull'esistenza delle riforme che si era impegnato a realizzare, non cioè su un fatto, su qualcosa esistente nella realtà concreta, ma semplicemente su parole, su una promessa, l'ennesima. Quand'è che si capirà che essere votati non equivale ad essere capaci di risolvere i problemi? (forse quando si capirà che le persone preferiscono votare più che vedere risolti i loro problemi). Le famose riforme Tsipras avrebbe dovuto non solo farle, ma farle prima di chiedere altri soldi in prestito e su questo fatto avrebbe dovuto fondare la sua richiesta d'aiuto, perché questa fosse credibile. Parole contro fatti, la "narrazione" contro l'empirismo: ecco la distanza che separa due mondi, due modi d'intendere la vita assolutamente diversi. Da una parte l'abitudine di giudicare le persone dalle parole (" come parla bene", " che belle parole"), dall'altra quella di basare il proprio giudizio sui fatti, sulle azioni (" the proof of the pudding is in the eating"). Non si tratta di giudicare quale dei due approcci alla vita sia migliore, si tratta di capire che questi due approcci sono assolutamente diversi, incompatibili. Ma, al di là di questa evidente differenza, c'è qualcosa di più profondo che colpisce nel modo col quale alcuni hanno affrontato il problema della crisi greca, qualcosa che rende inconciliabili le posizioni assunte. Ho notato, per esempio, che molti considerano ammissibile non ripagare un debito, in nome dei diritti dei debitori. E i diritti dei creditori? Forse che i diritti dei creditori valgono meno di quelli dei debitori? Forse che un creditore non ha il diritto di rientrare in possesso di quel che ha prestato? Perché chi s'indebita è più simpatico di chi presta i soldi? E allo stesso modo, perché chi va male a scuola risulta più simpatico del primo della classe? Credo che quest'analogia non sia affatto casuale, ma che nasca dal profondo della cultura di questo Paese. Al di là della singolarità di considerare ammissibile non ripagare un debito, quello che considero surreale è che ad assumerla siano personaggi che in questo Paese hanno ricoperto importanti cariche pubbliche, a conferma della loro totale inadeguatezza a ricoprire ruoli istituzionali. Il bello è poi sentir parlare di rispetto delle regole, di Stato di diritto, personaggi che pensano sia normale entrare in un club per poi non rispettarne le regole, che pure avevano sottoscritto per entrarci! Non a caso la crisi greca è stata un'occasione ideale per i seguaci del ribellismo italico, personaggi per i quali dire "no" equivale ad esibire un certificato di esistenza in vita. Ma c'è ancora un altro elemento, ancora più preoccupante, che vedo emergere in questa vicenda, segno di una delle più tipiche anomalie di questo Paese: il fatto che chi ha successo sia visto come uno che ha commesso un peccato, come uno che per questo motivo debba scontare una pena (e non invece uno da prendere ad esempio). Evidentemente parlo del successo che si conquista meritatamente, in virtù delle proprie competenze, del proprio lavoro, delle proprie abilità, della propria conoscenza. In certi Paesi invece, come ben sapevano gli antichi greci, il popolo si riconosce di più nei perdenti. Che, non a caso, spesso diventano eroi popolari. Questa vicenda greca dimostra, come meglio forse non si potrebbe, che è il Mediterraneo l'insieme di cui fa parte l'Italia, non l'Europa. Basta osservare una carta geografica per convincersene