Magazine Diario personale

Broken - Racconto horror

Da Lillyaylmer
•larafairie-stock (deviantart)A te, che hai lottato fino alla fine dell’incubo.Purtroppo non sono riuscita a darti un nome.Il risveglio era uno dei momenti della giornata che preferiva, un lungo istante di pace che non poteva essere intaccato, ma il buio in cui aprì gli occhi la turbò. Quando tentò di respirare sentì una fitta al petto, dove il cuore si faceva spazio per ricominciare a battere.Si scosse e volse lo sguardo intorno a lei, ma la stanza continuava a vibrare e non riusciva ad alzarsi. Con un gesto istintivo posò la mano sul pavimento: il suo corpo ebbe un sussulto. Non era la stanza a tremare. Il freddo le penetrava nelle ossa e, avvolgendola senza pietà, risaliva lungo il corpo ghiacciandolo e i denti battevano senza controllo.La testa le pulsava. Si strusciò sul pavimento per alzarsi, ma le mura vorticarono per un attimo facendole venire la nausea; l'odore penetrante della muffa sulla parete le bruciò le narici e le diede una lucidità maggiore.In alto, troppo, c'era una finestra da cui entrava un fascio di luce, poi non vide altro, né mobili, né oggetti che potessero aiutarla a capire dove mai fosse. Nella penombra scorse alcuni scalini, sulla cima dei quali una lunga linea chiara fendeva il buio.Si alzò lentamente, conficcando le unghie nei mattoni che si sbriciolavano. Era costretta a far ciondolare la testa per via di un peso che l'attirava verso il basso, ma, quando cercò di liberarsene, un dolore acuto le fulminò la nuca, strisciando lungo tutta la spina dorsale, e la mano tornò macchiata di sangue davanti ai suoi occhi.Non ricordava nulla della sera precedente, le luci della festa si accendevano a intermittenza e non riusciva a riconoscere le voci dei ragazzi: un ronzio le infranse i pensieri mentre il peso della testa aumentava a ogni passo, come il senso di nausea; le scale dondolavano sotto di lei e sentiva il sangue scorrerle lungo la schiena. Prima di aprire la porta ascoltò il silenzio, ma nessun rumore la colse di sorpresa, così aprì la porta lentamente. Una ragazza con i vestiti strappati e sporchi la guardava con occhi stravolti, la pelle  coperta di ferite e i lunghi capelli neri che ricadevano sulle spalle, sporcandole di rosso.Indietreggiò spaventata e l'altra ragazza la imitò: solo allora riconobbe il suo riflesso.Specchi. Centinaia di specchi appesi alle pareti a formare un'unica superficie, lastre che si riflettevano infinite volte una nell'altra, si susseguivano per tutto il corridoio che sembrava non avere fine. Il respiro le bruciò in gola ma non ne uscì alcun suono. Respirò a fondo e provò ancora, sentendo la voce graffiarla da dentro fino a fuoriuscire in un sussurro gutturale.Il silenzio non era rotto neanche dal rumore dei suoi passi nudi, che strusciavano sul pavimento creando intricati disegni nel rosso del sangue.«C'è qualcuno?» riuscì a bisbigliare.Ansimò disperata. Le lacrime le bruciarono gli occhi, ma non riuscirono a cadere lungo la guancia. Si accasciò a terra e appoggiò il volto su uno specchio: quel contatto freddo le diede un po' di sollievo, perché a ogni minimo gesto sentiva una fiammata nel corpo.Stava per chiudere gli occhi, quando percepì una vibrazione: si staccò di colpo, ma tutto era immobile. Appoggiò la mano insanguinata sullo specchio e quello cominciò a tremare. Si allontanò spaventata e provò ad alzarsi, ma, ogni volta che toccava uno specchio, quello tremava sempre più forte fino a vibrare senza sosta.«Basta, basta, basta.» Il rumore degli specchi era sempre più forte. «Basta!» urlò disperata e il rumore cessò.«È solo un sogno» bisbigliò a occhi chiusi, respirando tutta l'aria che poteva. Un'ombra le passò davanti. Aprì gli occhi urlando, ma non c'era nessuno a parte lei nel corridoio.«Ora mi sveglio, ora mi sveglio, ora...» Qualcosa si mosse alle sue spalle. Si voltò di scatto alcune volte per cercare qualcuno, ma era sola. Poi, quando fu esausta, lo sentì: con un ronzio, gli specchi vibrarono fino a incrinarsi. Poi, più nulla.Un respiro, un sospiro. Cominciò a camminare, guardandosi le spalle. Gli specchi si susseguivano senza sosta. Velocizzò il passo fino a correre, mentre il bruciore risaliva lungo le gambe tremanti. Quando vide il corridoio snodarsi in un angolo si fermò per riprendere fiato, si accasciò alla parete riflettente e si guardò intorno: il corridoio era sempre identico a se stesso, sembrava  che non avesse mosso un solo passo, eppure a lei le pareva di aver corso per ore.Scorse una porta che spezzava la linea degli specchi del nuovo corridoio. La ragazza si raddrizzò per osservarla meglio. Quando riconobbe la stessa porta da cui era uscita, sentì il vuoto sotto ai piedi e si appoggiò allo specchio per non cadere.La mano iniziò subito a tremarle. La guardò e vide lo specchio vibrare rumorosamente; subito la staccò e cominciò a correre senza esitare verso la porta, chiudendosela alle spalle.La luce che filtrava sotto i battenti si spense per un istante e una leggera vibrazione fece tremare la porta. Tornò a respirare solo quando la luce s'insinuò di nuovo nella fenditura. Subito si accorse che la stanza aveva qualcosa di diverso: non c'erano scale da scendere e la luce era più vivida e forte. Non era la stanza in cui si era svegliata.Il sole si spegneva all'orizzonte, incorniciato dalla finestra. Il rosso sanguigno sfumò nel blu vellutato della notte e in pochi istanti la stanza sprofondò nella oscurità. Eppure, anche in quel buio intenso, gli specchi che ricoprivano le pareti sembravano brillare. Corse verso la finestra e provò a forzarla, ma le schegge di legno le si conficcarono nelle mani, e il suo urlo tagliò il silenzio.«Silenzio.» Il sibilo le salì ungo la schiena come un brivido. Abbassò gli occhi sbarrati e vide una ragazza raggomitolata in un angolo, l'unica parte della stanza a essere libera dagli specchi.«Chi sei?» le domandò arretrando.L'altra ragazza smise di dondolarsi e girò lentamente la testa, continuando a tenerla tra le mani ad artiglio. «Non toccare gli specchi!» le sibilò e, quando la vide fermarsi, sospirò sollevata. «Non ti muovere.» Poi tornò a guardare davanti a sé e cominciò a dondolare. «Non far rumore. Non toccare gli specchi. Non ti muovere» senza sosta.Prendendo coraggio, la ragazza le si avvicinò e si accucciò a terra per riuscire a guardarla in volto. «Io mi chiamo Angela.» Sorrise nervosa, ma quella sembrava non vederla neanche. «Dove siamo? È orribile.» Provò a poggiarle la mano sulla spalla, ma quella si ritrasse al contatto, schiacciandosi contro la parete.«Per favore. Voglio tornare a casa» supplicò Angela, ma capì quasi subito che non avrebbe avuto alcuna informazione.Lottando contro la nausea, si alzò piano e cominciò a camminare nella stanza, osservandosi nel suo riflesso; si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e provò a riconoscersi nel volto stravolto che le era di fronte, ma quegli occhi rossi e stanchi non li aveva mai visti. Stranita, scosse la testa e, quando tornò a guardarsi, i suoi occhi erano di nuovo neri. Si avvicinò al proprio riflesso, ma un singulto la fece sussultare: nell'angolo, la ragazza aveva iniziato a lamentarsi disperata. Avrebbe voluto girarsi per andare da lei, ma il corpo a stento le ubbidiva e continuò a fissare la maschera di stanchezza e torpore sul suo volto.Un lampo vermiglio la scosse. I suoi occhi erano tornati rossi. Si strofinò il volto per scacciare la stanchezza, ma quella luce scarlatta continuò a fissarla.Il corpo a stento le obbediva, e non gli aveva detto di muoversi, ma quel riflesso le porgeva la mano, sorridendole. Ormai in trance porse la propria al riflesso, facendola aderire alla superficie dello specchio, che non vibrò con era accaduto agli altri. Sentì punte di spillo conficcarsi nel volto quando riuscì a rispondere al sorriso del riflesso.«Perché ci sono tanti specchi?» domandò girandosi verso la ragazza, la quale, però, si era accucciata a terra. Il suo pianto era interrotto dai singhiozzi: face un passo verso di lei ma non riuscì a muoversi oltre.La mano non si era separata dallo specchio, come fusa con la superficie.Sospirò e si diede un pizzicotto, ma, invece di sentire il dolce torpore del sogno, la scossa del dolore le salì lungo il fianco e lei si accasciò a terra esausta. Il suo riflesso la seguì ubbidiente, ma, quando Angela tornò a guadarlo, gli occhi sembravano ormai una brace ardente. Il fuoco fu attraversato da un fremito e lo specchio divenne una lastra nera. Dalle dita della ragazza cinque crepe si espansero sulla superficie opaca e oltrepassarono i confini della cornice, incrinando tutti gli specchi della camera, che divennero lastre nere opache. Lo stridulo crepitio si fermò alle sue spalle, circondandola.Il nero scompariva lentamente strisciando nei sottili tagli delle incrinature, affluiva alla mano della ragazza e, quando tutta l'ombra si fu addensata davanti a lei, il nero della lastra divenne a tal punto profondo da sembrare vivo.Sentì un leggero formicolio salirle lungo il braccio e il calore le si diffuse nel corpo, fino a raggiungere la mente; chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno, senza sentire più nulla.L'ombra l'inghiottì ancora prima che cadesse nello specchio. I filamenti neri la soffocarono, avviluppandosi a lei, e quando ebbe chiuso gli occhi per sempre ormai aveva oltrepassato la cornice. In pochi istanti, le crepe si risanarono e la superficie tornò chiara.Quando il pasto si fu concluso, la ragazza, dal suo angolo sicuro, continuò a recitare la sua nenia e iniziò a graffiare il legno del pavimento per tracciare una piccola tacca, la terza. «Il sole è tramontato quattro volte» mormorò, ma, tentando di graffiare ancora la superficie, l'unghia si spezzò, facendola urlare.Un rombo soffocato riempì la stanza. La risata isterica della ragazza sovrastò il verso. «Scusa.» Si succhiò il dito e il sapore metallico del sangue la fece gemere, i denti affondarono nella carne fino a sentire il fiotto caldo scorrerle sulla lingua.I vetri cominciarono a infrangersi lentamente e il lamento irritato fece tremare le pareti.«Già visto» tagliò corto la ragazza. Poi, sentendo la porta dischiudersi con un cigolio, scosse il capo, mentre un ghigno le alterava i lineamenti del volto. «Non ti muovere. Non far rumore. Non guardare gli specchi» scandì, contando con le dita. La porta si chiuse con un tonfo sordo, per poi riaprirsi di nuovo; ma la ragazza continuava a rimanere seduta. La porta cominciò ad aprirsi e chiudersi con furia sempre maggiore, frantumando gli specchi, fin quando, con un ultimo colpo, questi ultimi scoppiarono, invadendo l'aria con una pioggia di cristallo; come aghi, le schegge le si conficcarono nella pelle martoriata. Quando sembrò che tutto fosse finito, la ragazza si scoprì piano il viso: le pareti erano coperte da cornici vuote e sul pavimento c'era un tappeto di frammenti e polvere brillante.La porta si dischiuse con un cigolio.Tremando, la ragazza strisciò contro la parete per sollevarsi da terra. Ancora stentava a muovere un passo verso la porta che si era aperta lentamente: erano due giorni che non si allontanava dal suo angolo sicuro; però, senza specchi, non c'era più pericolo. Facendo violenza al suo stesso corpo, riuscì a strappare una cornice dalla parete per togliere le schegge dal pavimento e camminare senza ferirsi i piedi nudi.Aveva smesso di farsi domande quasi subito: non sapeva come fosse arrivata in quella dannata casa, ma era sempre la stessa storia. Ogni giorno arrivava una nuova ragazza e veniva... Bloccò il conato in gola, ricordando le scene dei pasti: le urla della ragazza che aveva gettato nelle fauci di quella melma informe ancora le risuonavano nell'orecchio; per salvarsi aveva sradicato alcuni specchi dalle pareti e glieli aveva gettati contro. Arrivata alla porta si fermò. Un mare di schegge ricopriva anche il corridoio, ogni specchio era andato in frantumi.Senza specchi non c'era pericolo, ma camminò lentamente, controllando ogni cornice. La stanza era alla fine di un corridoio cieco e non poteva che seguire una strada; quasi subito, si trovò davanti a delle scale che scendevano al piano di sotto, anche quelle ricoperte di frammenti luccicanti.Non aveva un ricordo preciso di quei gironi, la fame e il sangue perso l'avevano stordita, eppure era certa di non aver mai salito gradini per trovare la sua stanza. Scosse la testa e girò su se stessa, ma a terra non c'era più la via che aveva solcato tra le schegge: gli specchi erano tornati ad adornare le pareti. Non poteva più tornare indietro. Con un lamento soffocato sputò a terra sangue e saliva e cominciò a ripulire uno scalino alla volta.Al piano inferiore c'era una sola stanza. Senza guardarsi attorno, si scaraventò sul lavandino e aprì il rubinetto. Ne uscì solo un filo d'acqua, ma le parve una cascata. Scossa dai fremiti, aspettò che le mani si riempissero e poi bevve, fino a quando non lavò via la sete e il sapore del sangue dalla bocca; solo allora alzò la testa dal lavandino e guardò la cucina: sembrava un set cinematografico, le tende tirate e i fiori freschi sul tavoloLo stomaco si contrasse alla sola vista del frigorifero. Già si stava avvicinando con la mano tesa verso la maniglia, quando vide una piccola porta accanto all'elettrodomestico aprirsi da sola.L'aria fresca della notte spazzò via quella stantia della casa.La ragazza si guardò attorno, stordita. Non c'era nessuno, non c'erano specchi. Il cuore le pulsava nelle orecchie, ogni passo un battito. Davanti all'uscio aperto allungò le mani nel vuoto e sentì il soffio gelido del vento soffiarle sulle mani. Il calore delle lacrime le scese lungo le guance. Prima ancora che potesse pensare di muovere un passo verso quella via di fuga, la porta le si chiuse davanti con un tonfo.Si guardò negli occhi,  il volto deformato dall'angoscia riflesso: sulla porta era comparso dal nulla uno specchio.«No.» Batté le mani sulla superficie una volta e non riuscì più a staccarle. «Ti prego.» Il corpo fremette assieme allo specchio, che s'infranse a partire dalle dita.L'urlo squarciò l'aria e la ragazza si allontanò dallo specchio, tirando le mani fino a strapparle via; prese il vaso di fiori e glielo scaraventò contro.Le schegge volarono in una danza di luci, cadendo inermi a terra.La ragazza non vedeva più niente. Si passò le mani sugli occhi, ma peggiorò solo le cose. Barcollò verso la porta. La maniglia le scivolava dalle mani intrise di sangue.Il respiro era rotto dai singhiozzi; guardò sotto di sé e riuscì solo a scorgere l'oscuramento delle schegge. «Adesso cosa fai, stronzo?» urlò con le ultime forze, poi si lasciò cadere a terra. Sentì il corpo dilaniato dai filamenti d'ombra e il buio della morte si sciolse nella macchia nera che la sovrastava; ogni frammento strappò una parte del corpo, straziandolo senza tregua e, quando anche le ossa furono distrutte, le schegge bevvero il sangue e si fusero con il pavimento, scomparendo.Nell'aria si diffuse una melodia e un rombo soffocato diede il benvenuto all'uomo, che entrò cantilenando nella stanza.Alto e allampanato, la tuta gli andava fin troppo larga, sporca di grasso per motori e terreno, i capelli biondo cenere rasati sulla nuca.«Questa era tosta» asserì l'uomo con uno scintillio di soddisfazione negli occhi azzurri. La casa vibrò. «No» disse l'uomo andando verso un armadio «Devi aspettare per la prossima. È arrivato uno che fa troppe domande.» Prese una scopa e cominciò a pulire il sangue rappreso. «Devi aspettare.» A quelle parole il pavimento tremò forte.«Figurati» disse l'uomo, appoggiando il mento al manico della scopa. «Ti avverto, però, ficcanaso com'è, sarà duro da digerire.» Al silenzio che seguì, l'uomo alzò le spalle sorridendo e riprese a pulire, cantilenando. N.d.A.Salve a tutti!Questo racconto è nato da un incubo, davvero, e in due puntate! Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a togliermelo dalla testa, così, l’ho messo per iscritto ed è nato il primo racconto che ho avuto voglia di pubblicare on-line.Ringrazio Elena, senza la quale questo racconto sarebbe rimasto nel cassetto, e Valentina, perché risponde nel giro di un minuto ai miei messaggi su Facebook. Senza di lei mi sarei sentita sola.Sarei davvero felice di avere commenti e opinioni di chi leggerà.Ciao, LillyQuesta opera è protetta da Copyzero ed è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

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