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Ho già avuto modo di dilungarmi sul groviglio di pensieri che accompagnano il time-warp aereo al rientro dalla madrepatria.Di solito però fa da sfondo ai miei rientri il rassicurante logo arancione della easyJet (giuro che non è un messaggio sponsorizzato). La easyJet, sempre non per sponsorizzare, si fa perdonare i disagi da low cost con il fatto che atterra al maestoso aeroporto di Zaventem, il cui maestoso e chilometrico tapis roulant mi fa sentire un po' star del mio personale filmino di successo, ritoccato di volta in volta all'occorrenza. Sul tapis roulant di Zaventem rivivo ad esempio la fiera speranza di quel primo giorno in cui l'ho solcata nella mia vita adulta, alle otto del mattino di un venerdì di primavera, diretta ad un colloquio che mi avrebbe aperto le porte della città.
Comunque, sto divagando.
Io quando volo con Ryanair mi sento proprio una poveraccia.
Non che io - fuori dal filmino di cui sopra - sia una star del jet set internazionale con il portafoglio gonfio di euri. Ma un minimo di comfort, in tutti questi anni a sudare dietro a scrivanie varie - me lo sono conquistato.
Ecco, Ryanair in un paio d'ore riesce a distruggere tutta l'idea di benessere che dà un senso - in certi momenti - a questa vita grama.
Ma soprattutto, nel caso specifico, ci riesce l'aeroporto di Charleroi, dove i suddetti voli si concentrano. Manco a farlo apposta posizionato in un luogo carico di significato per le valanghe di immigrati del dopoguerra. Luogo di miniere, dove i figli e nipoti della manodopera anni Cinquanta affollano i check in per i vari Bruxelles-Cagliari, Bruxelles-Palermo, Bruxelles-Bari. Tornano da famiglie ormai distanti, parlano con la "r" arrotolata e si dimenticano i vocaboli. E si mescolano alle nuove generazioni di immigrati precari, che tornano per il weekend e - tutti griffati - discorrono in fila di un lavoro in "organizzazione eventi e comunicazione".
Sto di nuovo divagando, e il lirismo di quest'ultimo paragrafo stride con il tono polemico del resto del post.
Mmmh. Vogliamo forse appoggiare il discutibile parallelismo del Negativo fra le due categorie di immigrati?
No.
Voglio dire che tutto, nell'atmosfera di quell'aeroporto sfigato in un luogo sfigato, contribuisce a farti sentire un profugo generato dalla guerra dell'uomo medio contro i costi dei voli aerei. Con due negozi in croce e due bar inspiegabilmente carissimi e il Paul che tenta di dare un tono all'ambiente offrendo pasticceria francese per le masse. Fino alla lotta per il carro bestiame che scarica i profughi-risparmiatori in un altro luogo orrido della topografia bruxellese, la Gare du Midi.
Tutto ciò non fa altro che turbare ulteriormente il mio animo già turbato e provato dalle annose considerazioni che conosciamo. Questa volta si aggiungono lo sbalzo di luci e temperature tra una Sardegna carica di natura primverile e un Belgio ancora gelato in un inverno interminabile. E lla coinqui, tutta giuliva, che nel weekend dice di aver ospitato dei couch surfer turchi e norvegesi a caso, conosciuti ad una festa. E internet che non funziona bene.
Domani è un altro giorno.