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Disturbi associati al bruxismo: mal di denti, mal di testa, senso di pesantezza ai muscoli del volto, torcicollo, affaticamento visivo, mal di schiena, dolori alle spalle, bisogno di aprire la bocca spesso per rilassare i masseteri, bisogno di storcere la bocca, para-funzioni di masticazione (movimenti mandibolari come se il soggetto stesse masticando qualcosa), morsicatura della guancia interna, compulsione allo sbadiglio o alla distensione della mandibola inferiore.
Conseguenze dirette del bruxismo: frattura dei denti, riduzione dell'altezza dentale, accresciuta sensibilità dentale, dolenzia di vari distretti della testa e del tronco superiore, infiammazione e compromissione dell'articolazione temporo-mandibolare. È statisticamente accertata una maggiore tendenza dei bruxisti a sviluppare il Parkinson e altre malattie a base neurologica in tarda età.
Cause del disturbo: sconosciute.
Ipotesi di causa del disturbo: precedente sbilanciamento della muscolatura cervico-craniale, altezza insufficiente del morso (ridotta altezza dei denti), malocclusione (incastro dei denti superiori e inferiori poco stabile in serramento, oppure mandibole non combacianti), disfunzioni posturali, disfunzioni respiratorie, non meglio definite cause neurologiche, reazioni di tipo neurologico a farmaci quali antidepressivi o agenti sul sistema nervoso centrale, predisposizione genetica, stress da aggressività repressa e sovraccarico emotivo, intolleranze alimentari, anemia, disbiosi intestinale.
Terapie: - bite occlusale: consistente in una piastra rigida e di vari spessori interposta tra i denti, che viene portata di notte, con lo scopo di proteggere la dentatura e di alzare il morso per rilassare e allungare i masseteri. Più che una vera e propria terapia, il bite è una forma di prevenzione del danno che questo disturbo causa alla dentatura. Spesso mal sopportato dal paziente, deve invece essere usato con regolarità affinché i denti possano essere preservati e il disturbo si riduca eventualmente d'intensità.
- terapia farmacologica: in associazione con il bite occlusale (che deve essere usato in ogni caso) sono spesso prescritti farmaci miorilassanti (il cui scopo è rilassare la muscolatura striata) e ansiolitici o una più strutturata terapia per il sonno. Il cocktail di farmaci solitamente usato per la "Restless leg syndrome" è inizialmente risultato utile anche nel del bruxismo, perdendo però di efficacia nel tempo, anche in questo caso. La terapia farmacologica sembra quindi essere un'utile terapia iniziale ma non porta quasi mai alla soluzione definitiva del problema se non è affiancata da un'adeguata rieducazione funzionale.- rieducazione percettivo-funzionale consiste nel rieducare il paziente alla consapevolezza e all'uso adeguato della muscolatura masticatoria e del tronco superiore: richiede una preparazione olistica da parte del terapeuta e grandi capacità di osservazione e di intervento. Ancora poco disponibile per il vasto pubblico, questa terapia ha costi elevati, prevede tempi lunghi e applicazione consapevole e costante da parte del paziente. Se eseguita correttamente ha una percentuale di successi di circa l'80%.
Riflessioni sulla componente psicologica del bruxismoLa prescrizione del bite occlusale soddisfa la richiesta di sollievo immediato da parte del paziente e consente al terapeuta di offrire qualcosa di concreto, tuttavia, per quanto indispensabile nell'evitare danni alla dentatura, non fornisce una soluzione definitiva del problema. Non sono state fatte ad oggi ricerche approfondite sulla causa di questo disturbo e l'attribuzione di tale para-funzione a un non meglio definito "stress" sembra portare a un vicolo cieco, dove il compito del medico termina e la responsabilità passa al paziente, senza che questi abbia una reale possibilità d'intervento su un comportamento che è ovviamente di origine inconsapevole.Poco si è studiato anche dal punto di vista psicologico, poiché si tratta di pazienti che si rivolgono al dentista o che addirittura vengono scoperti dal dentista stesso, che una volta prescritto il bite occlusale raramente propone altre terapie al paziente, se non indicazioni generiche sullo "stare più rilassato". In molti casi il paziente è asintomatico o avverte sintomi fisici legati all'affaticamento muscolare senza percepire altri disagi di tipo emotivo: difficilmente quindi cerca supporto presso altre figure terapeutiche.Le possibili origini di questo disturbo, che nelle ipotesi spaziano dalla predisposizione neurologica alla parassitosi intestinale, passando dal disturbo psicosomatico, sono in molti casi sovrapponibili e ridondanti: è probabile che una persona soffra di una disbiosi intestinale nella misura in cui si alimenta in modo scorretto a causa di un lavoro che la obbliga anche a orari di veglia e sonno innaturali, così come a posture scorrette, che si scaricano sulla muscolatura del collo, che a sua volta compromette la funzione della muscolatura temporomandibolare, che causa dolori e fastidi e che contribuisce all'affaticamento fisico e morale di questa persona. Oppure che la sedentarietà, assieme alle normali insoddisfazioni che tutti abbiamo, si traduca in un bisogno di sfogo, che persone giovani e vivaci non riescono a raggiungere, appesantite da obblighi e da responsabilità che magari hanno scelto consapevolmente in vista dei vantaggi futuri, ma che tollerano con fatica, pagando un prezzo a livello somatico.
Le sollecitazioni sociali e lavorative, che la cultura in cui viviamo ci impone, non permettono certo una vita di totale rilassatezza e contemplazione: stress, competitività, e infine semplice lotta per sopravvivenza e supremazia, presuppongono l'attivazione di un certo livello di aggressività e di frustrazione in ciascuno di noi: si tratta di un fenomeno naturale che è inutile negare e che va gestito in modo creativo, piuttosto che represso o annullato. La soluzione quindi non può essere l'induzione di uno stato di rilassatezza permanente, nella vita reale, quanto piuttosto l'imparare a riconoscere l'eventuale stato di tensione prima che diventi somatizzazione cronica e utilizzarlo in modo costruttivo.Occorre inoltre tenere presente che il serramento mandibolare è una reazione fisiologica spontanea al bisogno di stabilità ed equilibrio nell'esecuzione di un compito fisico che richieda forza e precisione, come un salto. Fin dal tempo degli antichi romani è noto quanto un morso alto e stabilizzato (tavoletta di legno stretta tra i denti) consenta prestazioni muscolari più performanti e maggiore resistenza alla fatica e al dolore. Il broxista, nel serramento mandibolare, spesso asimmetrico e appoggiato sulle punte dei denti più alti, cerca proprio questo tipo di aiuto, soprattutto in situazioni di sforzo emotivo e cognitivo più che fisico, senza mai apparentemente trovare la stabilità cercata dal punto di vista neuromuscolare: lo schema motorio si ripete in un continuo tentativo senza soluzione, fino ad innescare una tensione muscolare cronica.Il bruxista adulto
è nella maggioranza dei casi una persona che ha una scarsa percezione del proprio corpo e delle sue tensioni muscolari: spesso impegnato in compiti di tipo mentale, fatica ad accettare l'idea di avere una componente istintuale della sua personalità che non riesce a tenere sotto controllo e non ama l'introspezione: è una persona d'azione alla ricerca di "soluzioni" pratiche e immediate e questa sua attitudine è il primo ostacolo verso un ri-apprendimento consapevole di abitudini muscolari più corrette, che richiede invariabilmente l'acquisizioni di concetti e tecniche articolate. Spesso questo tipo di paziente non si fa carico della guarigione, non segue le prescrizioni e tende a dimenticare il problema fino a che questo non si fa urgente, salvo poi affrontarlo con soluzioni momentanee di emergenza.
Spesso la riabilitazione del bruxismo prevede, oltre agli esercizi per il rilassamento e l'allungamento della muscolatura temporomandibolare, l'apprendimento di altre tecniche relative al movimento di collo e busto, di tecniche di respirazione e di gestione dello sforzo, che sia esso di origine fisica o emotiva.
Riconoscere e prendere in seria considerazione i bisogni del paziente espressi attraverso il sintomo del bruxismo, piuttosto che inibirli, è il primo passo fondamentale della terapia, che successivamente dovrà fornire al paziente la possibilità di esprimere questi bisogni attraverso strumenti alternativi, liberatori e costruttivi, invece che distruttivi.
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