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Mi hanno sempre fatto paura gli ospedali. Le malattie sono il mio terrore eppure mi sono dovuta armare di coraggio e affrontare questo demone, perché non avevo scelta. Le ricordo bene le sensazioni della giornata di venerdì. Spogliarsi e indossare il camicie e la cuffia di un verde stinto. Mettersi a letto e lasciarsi trasportare fino alla sala operatoria.
Uno, due, tre e le luci del soffitto, bianche e quadrate, mi tagliavano la pelle e sembravano oltrepassare il confine dei miei occhi, stampandosi sulle pupille in un ricordo eterno. Le voci dei medici e quelle degli anestesisti. Il freddo della stanza, i macchinari e poi il sorriso e gli occhi rassicuranti di Doc C. Non avevo paura, probabilmente perché mi avevano già un po' "drogata" oppure perché snervata dall'attesa, dall'ansia dei mesi precedenti, volevo solo che finisse in fretta. C'è anche un'altra ragione però. Non riuscivo ad avere immaginazione. Quando non hai mai vissuto certe cose, non puoi sapere come sono e neanche riesci a figurartele. Mi mancava questo, io non sapevo cosa mi aspettava e cosa avrei provato. Quando mi sono svegliata ho sentito il mio nome e poi ho visto lui, Doc C., che toccandomi il braccio ha detto: "Stia tranquilla, è tutto a posto ed è andato tutto bene". Da lì, la notte, è stata una discesa all'inferno. E non per la ferita, quanto per l'anestesia. Rimettere ogni due ore, non è di certo il massimo della vita. Mi sembrava di vivere in un incubo. E avevo paura, credo di aver avuto davvero molta paura. È arrivato Doc V. a strappare il velo del terrore che mi serpeggiava ovunque, trasmettendomi la calma e la rassicurazione di cui avevo bisogno. Il faro in un notturno denso di tremori. "Stia tranquilla, va tutto bene. E per favore, si rilassi, non mi guardi con quegli occhioni terrorizzati. Ok?", mi ha detto questo, mentre ero preda di me. Doc V., Doc. C., gli altri medici, infermiere e infermieri e inservienti, sono stati la mia ancora. Un'isola dove stare sicura e protetta.
Appunti ospedalieri, sparsi in giorni di tempo lento e dilatato.
Roma, 5 novembre 2011 (Campus Biomedico)Avrei preferito iniziare a scrivere su quest'agenda in altre circostanze, ma visto che qui le cose vanno per le lunghe...Sicuramente quest'esperienza verrà in qualche modo trasferita in un romanzo o in un racconto. Classico effetto catartico. E in una storia l'ho già inserita, solo che la devo terminare. (...)
Roma, 6 novembre 2011 (Campus Biomedico)Ieri è stato da me il prete dell'ospedale, un tipo un po' particolare, un predicatore delle "cause perse" mi è venuto da pensare quando l'ho visto. Ma in un momento complicato come questo, anche per quanto riguarda il lavoro, mi ha lasciato una preghiera relativa a questo obiettivo ed io, che ho promesso di andare a messa il prima possibile, ho vissuto quest'esperienza come un messaggio di Dio per me: "Io ci sono e ti tengo per mano". (...)Intorno a me ci sono i soliti, familiari rumori. Passi d'infermiere, carrelli, voci e la signora, compagna di stanza, che trascorre la giornata al telefono per sentirsi meno sola.Io, che mi ritrovo ad essere "la ragazza afona del letto 4", accendo la radio e scrivo.
Roma, 7 novembre 2011 (Campus biomedico)Voglio andare a casa, voglio andare a casa! Se lo ripeto mille volte mi daranno ascolto? Sembra eterna questa prigionia. Mi rallegra solo vedere il volto di M.
Roma, 8 novembre 2011 (Campus Biomedico)Sempre un'unica finestra. Inservienti e infermiere che si alternano in una danza senza sosta, un po' contorta. Mi sento sola, oggi, e sospesa e vorrei solo un abbraccio. Una coccola al gusto di miele.
Roma, 9 novembre 2011 (Campus Biomedico)Oggi esco finalmente. Ma sono ancora a mezzo servizio. Ci vorrà un po' di tempo prima che il mio fisico torni a rispondere ai comandi. Devo avere pazienza ma è snervante per me. Parlare e non avere voce, affaticarsi per niente. Io che sono abituata a fare anche tre/quattro cose insieme mi sento in trappola. Le tempistiche, però, sono quelle che sono e non posso proprio accelerarle. Quando potrò tornare a cercare lavoro? Non è giusto. Perché le cose devono essere sempre così complicate? E ho il romanzo da correggere e l'altro da scrivere. Ho bisogno che ritorni il sole. È venuto Doc V, la luce della mia prima notte qui. La sua voce e le sue mani, il suo sguardo, mi hanno accompagnata fino al mattino. Sono un po' nebulosi i ricordi di venerdì ma è chiara la sua presenza e quella di Doc C. post intervento che mi accarezzava il braccio e mi diceva che era andato tutto bene. Io, però, in quell'istante avrei voluto gridare: "Fantastico, ma la mia voce chi l'ha rubata?".Doc V e Doc C mi ripetono sempre di non preoccuparmi e di stare tranquilla. Di sicuro hanno intuito che sono un tantino ansiosa e ipocondriaca. In ogni caso tutto lo staff è stato meraviglioso. Cibo a parte, ma non posso ingoiare quasi nulla che abbia una consistenza più solida di un pappone, quindi non è colpa loro. Insomma si torna a casa e senza il suo numero. Peccato!Foto di shaggy359Licenza Creative Commonshttp://www.flickr.com/photos/12495774@N02/
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