Ho letto sul giornale di oggi i discorsi tenuti da Barack Obama e da Raul Castro sull’avvio della ripresa di relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba.
Subito ho pensato: “Era ora!“
Poi però ho anche pensato che gli Stati Uniti in fondo sono un Paese che è nato su un olocausto compiuto nei confronti degli abitanti autoctoni dell’America e paragonabile a quello della Germania nazista nei confronti degli ebrei e di tutti gli altri popoli ritenuti “spazzatura”.
In fondo Cuba rappresenta la lotta di Davide contro Golia. Una lotta combattuta con armi impari; una lotta che a volte ha degenerato, ma come è possibile spaccare il capello in quattro quando devi difendere la tua casa da un soggetto che è cento, mille volte più forte di te e che usa tutte le armi a sua disposizione per farti morire?
Oggi si può dire che dopo il 1989 forse Fidel Castro poteva farsi da parte, “sacrificarsi” sull’altare della fine dell’embargo nei confronti dell’isola e del ritorno a un regime democratico.
Forse… perché spesso per noi occidentali quando le cose le devono fare gli altri sono sempre facili e fattibili, basta che non mettano in discussione i nostri interessi.
In fondo, dice Obama, “da oltre 35 anni abbiamo rapporti con la Cina, un Paese di gran lunga più grande e governato anch’esso da un partito comunista. Quasi vent’anni fa abbiamo riallacciato i rapporti con il Vietnam“.
E allora perché Cuba è rimasta una sorta di spina nel fianco degli USA?
Perché noi occidentali abbiamo una concezione tutta nostra del bene e del male: il bene è rappresentato da noi e dai nostri amici; il male è rappresentato dai nostri nemici. Ci indigniamo se i talebani (che sono delle grandissime teste di cazzo) massacrano un centinaio di bambini nella loro scuola e non battiamo un ciglio quando obblighiamo milioni di bambini a rinunciare alla loro infanzia (e spesso anche alla loro vita) per produrre i nostri abiti, i nostri giocattoli, i nostri cellulari…
La storia di Cuba mi ricorda, per certi aspetti, quella di Israele, attorniata e accerchiata da Paesi che non ne riconoscono l’esistenza, non ne riconoscono il diritto all’esistenza e, visto che esiste comunque, si ritengono in diritto (a volte a parole, a volte con i fatti) di distruggerlo.
Chissà che il prossimo passo non sia proprio la pace tra Israele e i Paesi arabi?