Da qualche anno mi chiedo perché la sinistra ami spasmodicamente l’informazione verticale, quella che discende super nos dagli intellettuali (che una volta erano inevitabilmente “grossi”), dai piccoli apparati gelosi delle loro prerogative, dai giornalisti di nome. Quella che viene comunicata secondo scansioni che paiono sempre uguali almeno da quando arrivano i miei ricordi: il manifesto con le richieste irrinunciabili, le relative firme di cento professori e un operaio chissà come capitato in mezzo al gruppo (oggi meglio il precario), l’ostensione dei responsabili che tirano le fila e che sono i soli autorizzati a separare il grano dal loglio e infine l’assemblea indetta per unire, ma nella quale fatalmente ci si divide.
L’insieme riflette la verticalità della comunicazione a stampa dove chi possiede o in qualche modo può accedere ai mezzi di produzione comunica qualcosa dall’alto delle rotative o dell’offset, qualcosa che gode del prestigio di essere stampato e nello stesso tempo mette in condizione di minorità chi riceve il messaggio: può dire sì, no, oppure cominciare ad accatastare le obiezioni e le note fino a che non se ne fa nulla. O si fa un partitino. Ed è forse per questo che certi giornali della sinistra non vogliono rinunciare alla stampa che costa enormemente, è superata dalla rete che ormai costituisce il grosso dell’editoria nel mondo, ma è un elemento di separazione tra chi scrive e chi legge. Un meccanismo che viene sostanzialmente riprodotto artificialmente anche nell’epoca dell’interattività.
Dico questo perché oggi al teatro Vittoria di Roma c’è anche il primo appuntamento nazionale di “Cambiare si può“con l’intento di far nascere un nuovo soggetto politico antimontiano e antiliberista, un tentativo nel quale convergono personalità della società civile, di Alba, dalla Fiom, dai movimenti, dal popolo referendario per l’acqua pubblica, con l’attenzione anche di Idv e Rifondazione. Insomma qualcosa di arancione che si collochi tra l’alleanza Pd-Sel e prossimamente Udc e la carica antisistemica di Grillo. Insomma quel quarto polo che è sempre più un’esigenza di rappresentanza, ma che stenta a nascere mentre non c’è carenza di manifesti e di firmatari.
In fondo al post* inserisco un estratto dell’appello di convocazione di questa assemblea che dovrebbe star bene anche ai più superciliosi. E tuttavia mi permetto di far osservare che il progetto ha certo bisogno di leader, di assemblee, di organizzatori e naturalmente di idee, ma deve dotarsi anche di strumenti per collegare e rendere possibile una discussione orizzontale con il maggior numero di gente possibile. Perché temo che senza finanziamenti e il vento dei media tradizionali la cosa possa finire nella solita palude di manifesti, firmatari, piccoli direttivi in lite tra di loro,scaramucce sui social network, dissillusioni. E certo se Grillo non può essere una guida politica, l’esperienza dei meetup può invece essere in qualche modo ripresa e riscattata, creare un interesse e una partecipazione che certo non può essere garantita dai sistemi di comunicazione tradizionali. Non vorrei impancarmi in una discussione sulla termodinamica applicata alla comunicazione, ma ovviamente se essa è troppo ristretta finisce per avere un seguito piccolo ed esaurirsi, se troppo ampia e affidata solo ai canali sociali normalmente disponibili, rischia l’entropia dentro una ridda di afflussi poco significativi. Occorre qualcosa in cui sia facile entrare e confrontarsi, ma che allo stesso tempo ti faccia sentire parte di un progetto che nasce anche da te e non solo fra elites spesso autoproclamatesi tali.
Le tecnologie esistono, in qualche caso anche gratuite ed è forse una delle cose che attualmente manca all’opinione di sinistra per ritornare ad essere. Domani sarebbe bene farci un pensierino.
*«È un’alternativa che esprime una cultura politica nuova, che si prende cura degli altri e rifiuta il leaderismo, che parla il linguaggio della vita della persone e non quello degli apparati, che include nelle discussioni e decisioni pubbliche la cittadinanza attiva. Un’alternativa capace di fare emergere, con l’impegno collettivo, una nuova rappresentanza politica preparata, capace, disinteressata al tornaconto personale e realmente al servizio della comunità. Un’alternativa in grado di produrre antidoti a quel sistema clientelare che ha generato corruzione e inquinamento mafioso e di trasformare lo stato rendendolo trasparente, de-centralizzato ed efficiente. Un’alternativa, quindi, che guarda a un mondo diverso, in cui si rispetti l’ambiente, siano valorizzati i beni comuni, si pratichi l’accoglienza, si assicuri a tutte e tutti la possibilità di una vita degna di essere vissuta anche se si è vecchi, malati o senza lavoro o se si è arrivati nel nostro paese per viverci e lavorare. Non è un’illusione, ma il compito di una politica lungimirante: il welfare, lungi dall’essere un lusso dei periodi di prosperità, è la strada che ha portato alla soluzione delle grandi crisi economiche del secolo scorso. E non c’è solo una prospettiva di tempi lunghi. Ci sono azioni positive da realizzare e scelte sbagliate da contrastare. Subito».