Capitolo uno e quattro (stanchi? annoiati?)
Da Bartel
“Avvocato, avvocato Baldanzi …dica al suo cliente di calmarsi altrimenti mi vedrò costretta a misure poco simpatiche nei suoi confronti!!! Ha capito avvocato Baldanze? Ha capito? E lei la smetta di agitarsi…non siamo mica in una piazza qui!!! Siamo in un TRI-BU-NA-LE e la finisca!!!”Avvocato Giangiacomo Baldanzi da Pinerolo, regolarmente iscritto al foro di Torino, penalista di media fama, esperto nel campo delle dispute sanitarie e delle cause per malpractice medica. Uomo gioviale e padre di tre figli . Segni particolari: capelli scurissimi nonostante i 55 anni, baffetti sbarazzini scurissimi anche essi, altezza 157 cm. L’avvocato Baldanzi è in questo momento occupato a trattenere con tutte e due le mani il braccio del suo cliente, un uomo alto di 65 anni, capelli corti più sale che pepe, vestito con un abito scuro dal taglio impeccabile di un noto sarto milanese, camicia bianca e cravatta molto raffinata comprata a Napoli. Nonostante l’aspetto curato e signorile l’uomo, uomo perché guardandolo negli occhi nessuno avrebbe il coraggio di chiamarlo vecchio, sta trascinando l’avvocato Baldanzi con i piedi puntati al pavimento e la sua toga scivolata dalle spalle verso il testimone di turno. Il testimone è un giovane infermiere seduto davanti allo scranno del giudice. E’ voltato con la testa in direzione della furia che avanza inarrestabile verso di lui con attaccato al braccio un avvocato che non riesce nemmeno a parlare per lo sforzo di trattenere l’uomo. Si stringe nervosamente le mani tra le cosce, le sue pupille sono dilatate mentre trattiene il fiato. Finalmente intervengono due carabinieri che afferrano il distinto signore che non ha intenzione di fermarsi nonostante un lieve rigagnolo di bava che è apparso sul lato destro della bocca. Domani, sulle prime pagine di alcuni quotidiani apparirà il primo piano della faccia spaventata dell’infermiere e accanto il pacchetto di mischia formato dalla testa dell’avvocato Baldanzi e dai due carabinieri dalle camicie con grandi macchie di sudore che trattengono Eugenio Persico, ex-medico, ex-fotografo, ex-chitarrista di un gruppo metal della fine degli anni 80, ex-giornalista free-lance, ex-molte cose. Attualmente imputato per aggressione ad un noto e stimatissimo primario delle Molinette di Torino. “L’avverto Sig.Persico, non tollererò altre pagliacciate in questa aula ! Avvocato Baldanzi vogliamo continuare?” La vocina stridula della giudice scuro-cotonata arriva come una lama nella testa di Persico, abbagliato dai flash e con le braccia doloranti, ma quello che fa più male è il cuore. Non si tratta di un infarto, ma dell’ennesima volta in cui comprende che l’inferno non si può battere. Lo si può combattere, ma non vincere. E lui di inferno se ne intende. Non l’inferno personale, quello di un amore finito, di una malattia grave, di una perdita, ma lui è un esperto di inferno oggettivo. Lo ha visitato da medico in alcuni manicomi sparsi per l’Europa. Lo ha fotografato negli orfanotrofi, nelle fabbriche clandestine, nelle baraccopoli in Africa, Asia e Sud America, dietro i grandi magazzini a Seattle e New York, per le strade del mondo, nel suo quartiere, in alcuni salotti. Lo havisto negli occhi di donne e bambini violati, di malati abbandonati, di uno scheletro d’uomo con al collo una catena da cane.Lo ha annusato.Non puoi annusare l’inferno e poi far finta che non esista. E’ una maledizione che prosciuga le lacrime e inonda il cuore di veleno resistente a molti antidoti.
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