Dopo aver attraversato centinaia di chilometri di steppa si giunge infine sotto una roccia tufacea arida e spopolata; sembrerebbe un’introduzione all’inferno ed invece è solo il prologo alle meraviglie della Cappadocia.
Tutta quest’ area è un concentrato di meraviglie geologiche che stuzzica la fantasia ed affascina. Forme e colori mutevoli a seconda della posizione del sole e delle condizioni del tempo, un paesaggio diagrammatico, tutto picchi e dislivelli, butterato dall’ acqua, dal vento e dall’uomo, che per secoli ha scavato il tufo per creare abitazioni, rifugi, chiese.
Chissà come deve essere apparso il paesaggio – allo stesso tempo lunare e maestosamente terreno – della Cappadocia ai primi visitatori “occidentali”.
A quel tempo i pinnacoli di tufo – i cosiddetti camini delle fate – erano abitati, le piccionaie scavate in alto nelle pareti rocciose erano piene di escrementi fertilizzanti e l’unica strada che passava da qui era una carovaniera, un ramo della Via della Seta.
Oggi al posto della carovaniera c’è una strada a quattro corsie, ma il caravanserraglio è ancora lì ad indicare la direzione. Non fornisce più assistenza ai viandanti, ma ospita esibizioni di danze di dervisci. La sua mole pietrosa e massiccia segna il panorama per chilometri, nella vasta pianura priva di ombra.
Anche i camini delle fate non sono più abitati; la maggior parte delle innumerevoli pensioni di Göreme spacciano per “camere nei camini” normali stanze realizzate in mattoni di tufo a fianco dei camini. Dentro, al massimo c’è la reception.
Göreme è il nodo turistico è il centro di attrazione della regione. Venite qui se cercate la compagnia di altri turisti, internet café o bar con tutte le comodità europee. Ma se l’omologazione non vi piace, spostatevi di appena quattro chilometri verso Nord per trovare la pace del villaggio agricolo di Çavuşin, poche case ed una moschea, dove i ritmi sono dettati dalle stagioni e del canto del muezzin, dove gli anziani trascorrono le giornate in piazza tra una preghiera e la successiva, e scompaiono solo nelle sere di Ramadam, quando è il momento dell’Iftar, il desinare rituale che spezza il digiuno della giornata.
A Çavuşin troverete alberghi più tranquilli all’ombra di una rocca crivellata di fori che furono depositi, abitazioni e chiese. Dall’altro lato c’è la meraviglia della Valle Rosa.
Bisogna invece avere due o quattro ruote a disposizione e spostarsi di qualche decina di chilometri per incontrare l’intimità di Mustafapaşa, paese greco che divenne turco al tempo dello scambio di popolazioni tra i due stati. Le antiche case greche, costruite in pietra, dai bei portali, stavano cadendo in rovina prima che qualcuno pensasse a convertirle in boutique hotels, restituendo fascino al paese, ma ciononostante i turisti restano pochi e la pace tanta.
Siamo sì in Cappadocia, ma un po’ distanti dalle valli dove si affollano i camini delle fate ed i visitatori. Mustafapaşa resta appartato, lontano dai circuiti turistici di massa; lungo le strade ombreggiate da antichi alberi le donne cuociono i pomodori per preparare la salsa, proprio come nei villaggi del Sud Italia qualche decennio fa.
Sta poi a voi, ancora una volta, decidere se volete abbandonarvi alle delizie francesizzanti di Uhcisar, dove sopravvive il ricordo del Club Med che decenni fa inaugurò la stagione turistica di questa regione. Le insegne dei negozi ed i menu dei ristoranti in francese possono infastidire, ma il paese è molto suggestivo, raccolto attorno ad un’altura sormontata da un bastione tufaceo.
Data la sua posizione, Uhcisar è visibile da qualsiasi punto della valle, ma offre anche una splendida panoramica sulla terra dei camini: canyon stretti e profondi che ospitano e nascondono questi pinnacoli di tutte le forme e dimensioni; costoni di roccia rosa e rossa che si illuminano al tramonto quando i raggi del sole calante ne esaltano le tonalità.