Ritorno inaspettato del grande maestro romano, a quindici anni dall’ultima fatica cinematografica Jonathan degli orsi e frutto indecifrabile di un corto circuito mediatico, che ha trasformato il remake pulp di Tarantino in un’occasione di rilancio artistico, proprio attraverso un titolo che cita trasversalmente sia il personale Quel maledetto treno blindato (The inglorious bastards, 1978) che il recente omaggio tarantiniano.
“Roy e Linda sono due giovani ragazzi di buona famiglia, ricchi e annoiati, grazie ai soldi della loro famiglia, che si occupa di vendere le armi di guerra. Ma dopo una lite col padre, Roy sente l’ingiustizia di quell’agio causato dalla morte di migliaia di civili, e assieme a Linda e al fidanzato di lei José, iniziano a giocare pericolosamente, terrorizzando gli amici dei loro genitori ispirandosi al film Arancia Meccanica. Cercati dalla polizia e, a causa di un colpo sbagliato, anche dai narcotrafficanti dell’isola, si ritrovano a dover scappare ormai senza speranze, vittime dei loro stessi giochi”
I primi minuti lasciano subito spiazzato qualunque fan di vecchia data del regista: la pellicola lascia spazio al moderno digitale, gli attori sono giovani belli e palestrati privi qualsivoglia talento attoriale e le atmosfere, come da titolo, quelle assolate e caldissime dei Caraibi. In sostanza, sono lontani i tempi dell’inquietudine metropolitana de La polizia incrimina la legge assolve (1973) e della decadenza apocalittica di 1990: I guerrieri del Bronx; senza contare i volti e le musiche che accompagnavano queste vicende dal sapore epico, legate indissolubilmente a personaggi-icone di immediata riconoscibilità (solo per fare qualche nome: Franco Nero, Fabio Testi, Mark Gregory).
Riconfermato fortunatamente il gusto ipercinetico per un montaggio veloce e spericolato (di Gianfranco Amicucci), punto di forza di una vicenda avventurosa intervallata da non pochi corpo a corpo tra i protagonisti. Il film scorre diligentemente nella sua ora e mezza di minutaggio, senza perdere ritmo e concedendo anche un simpatico cameo dello stesso Castellari: eppure, tornando con la memoria alle opere passare del grande regista, si resta sconcertati dalla pochezza dell’operazione, a tratti più prossima ad un goliardico divertissement che ad un’opera cinematografica.
Il vicecommissario Belli e Keoma erano un’altra cosa… O ricordiamo male?
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