Carissimo ragazzo che mandi il CV candidandoti per una posizione all’interno di un ufficio marketing, vorrei dirti alcune cose che si sono dimenticati di rivelarti quando eri all’università. Uno dei limiti della formazione accademica, almeno della mia, è che non mi hanno spiegato esattamente cosa fa un product manager, o un responsabile marketing. Ma neanche cosa fa un account, un copy writer, un art director e in generale tutte le mille figure professionali che gravitano intorno al marketing e di cui il marketing si serve per svolgere il suo lavoro. Se io dirigessi una business school o una facoltà di Economia, a fare le famose “testimonianze” inviterei meno imprenditori che parlano di mission e del loro sciogno e lascerei la parola ai dipendenti.
Per quanto le aziende si possano professare marketing-driven o marketing-oriented o marketing-inspired, vorrei dirti che il marketing non è il cervello dell’azienda. Il cervello, per definizione, è l’organo responsabile di tutto ma che non si sporca mai. Il cervello di un’azienda è la proprietà, o colui al quale questa ha dato delega di prendere decisioni al suo posto.
Il marketing è la pelle di un’azienda. La pelle è un tessuto, ma anche un organo, continuamente coinvolto in scambi da e verso l’esterno. La pelle, a seconda dell’aria che tira fuori, ha reazioni continue e rapide che producono output come la pelle d’oca, il sudore, il rossore, il pallore. In base a ciò che la pelle gli dice, gli organi interni reagiscono con i tremori, i colpi di calore, la disidratazione, la tachicardia, lo svenimento. In casi estremi, il cagotto.
Chi opera nel marketing prende dall’esterno tendenze (trends), pensieri (opinions), dicerie (rumors), sensazioni (sentiment) e bisogni (needs). La prima grande lezione che ne deriva è che, per lavorare nel marketing, devi semplicemente fare in modo professionale quello che ogni cittadino occidentale fa sin dalla nascita: consumare. Puoi beneficiare delle fonti d’informazione cui accedono tutti (la stampa, la TV, il cinema, i libri, i social network, i blog, la sala d’aspetto del medico, la poltrona del parrucchiere), ma lo devi fare in modo più attento, consapevole e veloce. Se vuoi occuparti di marketing, parte del tuo lavoro è fare shopping in luoghi e modi inconsueti, provare servizi nuovi, leggere opuscoli, ricevere newsletter, osservare spot, parlare con i tuoi simili, senza limitarti al tuo settore di professione (perché il marketing è come il maiale, non si butta mai via niente). Puoi diventare un superconsumatore e guardare il mercato dall’alto. La tua vita privata ne beneficerà, perché, se sei intelligente, non ne diverrai vittima né schiavo. Mi permetto di suggerirti, quindi, che se non leggi, non ascolti, non t’informi e spendi soldi a caso, ecco, forse ci sono altre aree aziendali che fanno più al caso tuo.
Così come l’epidermide attiva e allerta gli altri organi, parimenti il marketing fa un mash-up degli stimoli esterni e attiva un meccanismo che attiva di conseguenza tutti gli altri enti aziendali. La seconda lezione che ne traiamo è che il marketing è la funzione più votata alla condivisione. Il tuo compito non si esaurisce nel tuo ufficio, ma verrai chiamato in causa ad ogni piè sospinto. Il marketing riceve continuamente input da tutti: da monte -dalla ricerca&sviluppo, dagli acquisti-, da valle -dalle vendite, dal servizio consumatori-, di lato -dalla comunicazione, dall’amministrazione-, da fuori -dalle agenzie, dai clienti-. Al marketer conviene avere buona memoria o, quanto meno, creatività informatica: deve radunare queste informazioni in schede, report, file, database. Excel sarà il tuo migliore amico, perché verrai interpellato su ogni microquestione possibile ed immaginabile, anche quelle in cui credevi di non dover mai entrare. Sarai quindi obbligato a capire il funzionamento di processi come l’approvvigionamento, la fatturazione, le consegne e, se si tratta di una industria, persino la produzione: chi lavora nel marketing penetra nel meccanismo della macchina aziendale.
Se è bravo, e fortunato, lo cambia anche. Bravura è ottenere la collaborazione di tutti gli altri organi. E qui veniamo alla terza grande lezione. Il marketing deve stabilire rapporti positivi con le altre funzioni aziendali. In questo sarai agevolato dal non essere un vecchio trombone retrogrado: nel marketing, mediamente, ci lavorano i più giovani. La carne pelle, per tornare al discorso di prima, più è fresca, meglio è. E’ innegabile che quel lavoro di “assorbimento delle tendenze” sopradescritto si attagli molto di più a persone sotto i 30 anni, con un background universitario, magari ancora prive di doveri familiari e pertanto con una mente più sgombra. Dovrai essere fortunato: in una società gerontocratica come quella italiana, il giovane product manager deve confrontarsi e collaborare (se non imporsi) su colleghi decisamente più maturi, che in molti casi appartengono all’orrida categoria dei baroni (ecco cosa penso di loro). Un consiglio, quindi: se sei un tipo timido e timorato di Dio, oppure se sei rigido e poco incline alla mediazione, oppure peggio ancora se sei dispotico e aggressivo, forse il marketing non è il tuo pane. In caso contrario, potrai diventare il punto di riferimento di importanti flussi di informazione interni ed esterni, mettendoti a servizio di tutta la struttura.
Infine, tornando all’analogia del corpo umano, avrai appreso dalle lezioni di biologia al liceo che un cuore, un fegato, un cervello -anche se utili e perfettamente funzionanti- sono brutti come la morte. Invece la pelle, oltre che utile e sana, può anche essere bella. Il marketing -quando le cose vanno bene- è liscio, roseo, profumato, lucente. Ultima perla della giornata: il compito di chi lavora nel marketing è rendere poetico ciò che è in partenza banale e prosaico. Per farlo, deve ricorrere a quel grande patrimonio che gli americani chiamano Humanities: la psicologia, l’estetica, il linguaggio. Il marketer può frugare a suo piacimento in un calderone enorme di topos, segni, simboli, ricordi, citazioni, esperienze collettive, per vestire di significato quell’oggetto inanimato che si suole chiamare prodotto. Il marketer è un businessman ma anche un umanista che media tra due visioni apparentemente antitetiche.
Avrai deriso l’ottusità dei carabinieri, le scarpe degli agenti immobiliari, la lentezza delle impiegate postali. Per la pena del contrappasso, avrai anche tu dei detrattori. Ci sarà sempre qualcuno -ingegneri, professori di greco e latino, attivisti di associazioni dei consumatori, fianco colleghi- che etichetterà il tuo lavoro come “fuffa” o “scienza delle merendine”, ma tu non dargli retta. Chi disprezza compra, e finché qualcuno compra significa che il tuo lavoro lo stai facendo bene.
PS Tra gli altri vantaggi del lavorare nel marketing, la possibilità di interpretare liberamente il concetto di “business casual”.
Nel marketing i selfies sono sdoganati