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Cartoline dai morti

Creato il 08 dicembre 2010 da Fabry2010

di  Domenico Scarpa

Franco Arminio, Cartoline dai morti, Nottetempo, 2010


«Stavo giocando a biliardo. Poi la solita storia: fatelo bere, fatelo sedere. Qualcuno che ti tocca il polso, qualcuno che pronuncia continuamente il tuo nome». La solita storia è quella che tutti sappiamo ma nessuno di noi conosce. In Cartoline dai morti – il titolo del libro e questo primo campione basteranno a capire cos’è – Franco Arminio ce la fa vedere dall’altra parte, dalla prospettiva appunto della morte. Arminio, che si definisce «paesologo» ossia visitatore e curatore di piccole geografie malvive, si trova stavolta a essere lui stesso una destinazione; le cartoline che ha raccolto sono 128, la più lunga copre tredici righe, le più brevi un rigo solo, la misura media è sulle tre-cinque righe, due o tre frasi che gli bastano ad aprire uno spiraglio narrativo: «Mio marito mi ha gettata nel pozzo. Gli è venuta una furia, una forza che non gli avevo mai visto. Ho gridato mentre mi trascinava, ma non c’era nessuno, solo le rondini che facevano avanti e indietro per farsi il nido sotto il tetto della nostra casa».

Nella sua energia lirica apparentemente impoverita, Cartoline dai morti non c’entra nulla con l’Antologia di Spoon River: i suoi morti non chiedono niente, non vogliono insegnarci niente, non emettono sospiri patetici. I paragoni (non i modelli) vanno cercati altrove, nelle Bestie di Federigo Tozzi e soprattutto nelle battute finali del Re Lear, quando Lear entra in scena tenendo sulle braccia Cordelia che non vivrà mai più – «never never never never never» – e un momento prima di schiantare a sua volta dal dolore si rivolge a Edgar, Kent e Albany con una frazione di voce: «Pray you, undo this button», per piacere slacciatemi questo bottone. Arminio ha saputo raccogliere tanto il dislivello tra futile e solenne quanto la loro coerenza. In un artista impaziente com’è lui, le Cartoline sono il risultato più alto (il più compendiario) perché sono il frutto di una pazienza tanto lunga a incubare quanto fulminea a scoccare: ogni pagina è il risultato di una grazia oscura, che chi ne è toccato deve implorare che smetta di scendergli sul capo: «Lo sguardo del panico dilata i sensi, li fa grezzi, non hai tempo di raffinare, di romanzare» si legge nella Nota conclusiva.

Vista dalla prospettiva della morte, la vita si chiarisce e si capisce. È una linea spezzata fatta di brevissimi momenti, che dicono tutto senza sparpagliarsi perché la voce che viene di là sa fonderli in un oggetto completo; così, la vita è un oggetto, e la morte è la voce: «Quando mi hanno detto che avevo il cancro non sono più uscito in piazza. Me ne andavo in campagna con la macchina. Abbassavo un po’ i sedili e aprivo i finestrini per prendere aria». Cartoline dai morti è tenuto insieme soltanto dal suo ritmo e da quel morso alle redini che è il farsi improvviso dei testi. È un libro che parla essendo muto, è uno schedario di storie senza appiglio: l’ansia che emanano deve fare a meno dell’io, così come la storia che narrano deve rinunciare allo scorrere del tempo, ed è così che la scrittura vive – dalla morte – la sua vita perfetta, sciogliendosi dai vincoli della persona e della durata.

«Io sono morto di vecchiaia, anche se non ero tanto vecchio, avevo cinquantanove anni»: Franco Arminio, cinquant’anni, originario di Bisaccia nell’Irpinia d’Oriente, sa praticare anche un umorismo non depressivo e tantomeno nero: un umorismo di deflazione. Il suo talento consiste nel dare levigatezza a una violenza percettiva asimmetrica, da cui la frase viene fuori come in una specie di controsistole. Cartoline dai morti non è solo il suo libro più bello, più maturo, più intimo, e il più sfaccettato nella sua compattezza. È un libro che impone alla letteratura una nuova «forma semplice»: nel 1930, alle forme semplici (Einfache Formen) dedicava uno studio memorabile André Jolles, che ne contò dodici. Oggi Arminio viene a prendere posto come tredicesimo a questa tavolata illustre senza dover temere nessuna disgrazia.

Pubblicato su Il sole 24 ore



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