Anniversario del rapimento Moro
Il 16 marzo del 1978 la storia politica italiana ha conosciuto una delle sue svolte più significative e violente: il rapimento di Aldo Moro. 37 anni dopo, si continua a indagare e a sospettare mentre i misteri su quell’avvenimento cruciale prevalgono ancora sulle certezze, storiche e giudiziarie.
In via Fani, quartiere Trionfale nella zona ovest di Roma, pochi minuti dopo le 9 di quella mattina che avrebbe cambiato il corso delle vicende politiche del paese, i 4 componenti (Morucci, Fiore, Gallinari e Bonisoli ) del commando di terroristi delle Brigate Rosse scaricarono tutta la loro potenza di fuoco contro le auto del presidente della Democrazia Cristiana e della sua scorta, lasciando senza vita i due carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e i tre poliziotti Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
L’attacco di via Fani sarebbe stato, però, solo la prima tappa del disegno eversivo dei brigatisti che culminò nell’uccisione di Moro, il cui corpo senza vita venne ritrovato il 9 maggio in via Caetani, nel centro di Roma, a poca distanza dalla sede storica del Partito comunista a Botteghe Oscure e da Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana. Tra il 16 marzo e il 9 maggio, 55 giorni di ricerche vane, di depistaggi e sospetti. E la scelta, che divise partiti e Italia intera, se trattare o meno con i brigatisti per cercare di salvare la vita dell’ex presidente del Consiglio.
La visione di Moro e la strategia delle Br
Moro, insieme al segretario del Pci Enrico Berlinguer, era stato l’ideatore e l’artefice della strategia del compromesso storico: la collaborazione di governo tra i due principali partiti italiani della Prima Repubblica, i comunisti e i democristiani. La mattina dell’agguato di Via Fani era, infatti, previsto il dibattito alla Camera dei deputati per il voto di fiducia al quarto governo presieduto da Giulio Andreotti che doveva segnare l’ingresso – per la prima volta nella storia repubblicana – del Partito Comunista Italiano nella maggioranza parlamentare a sostegno dell’esecutivo. Moro vedeva nel coinvolgimento nell’area di governo del Pci – avversario storico della Dc – la chiave per dotare l’Italia di una guida forte e stabile in una stagione politica e sociale molto complessa. Solo attraverso la collaborazione tra queste due grandi forze popolari, l’Italia avrebbe potuto archiviare la stagione della guerra fredda e superare la strategia delle tensione, arginando gli opposti estremismi di destra e sinistra che miravano a destabilizzare il paese e le istituzioni. Grazie al compromessso storico Moro sperava di riuscire a varare quelle riforme economiche e sociali che larghe fasce della popolazione attendevano e che la Dc da sola non era in grado di portare a compimento.
Le Br miravano proprio a interrompere quel processo di avvicinamento, colpendo l’interlocutore privilegiato del Pci di Berlinguer. Per l’ideologia brigatista era inaccettabile che i comunisti potessero scendere a patti con gli avversari politici collaborando addirittura nell’azione di governo. Così come affermato, negli anni successivi, da alcuni dei membri delle Br, con l’operazione Moro “si voleva portare a compimento la strategia rivoluzionaria che il Pci non voleva o sapeva realizzare”.
La commissione parlamentare d’inchiesta
Il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro , Giuseppe Fioroni del Pd, ha assicurato che “il governo farà di tutto per estradare in Italia il brigatista Casimirri“(condannato a sei ergastoli e latitante in Nicaragua), che partecipò alla strage di via Fani, così “da fare giustizia e ottenere anche un contributo per il prosieguo delle indagini”.
Audiocassette scomparse, strane presenze nei pressi del luogo dell’attentato (si parla di due uomini dei servizi di sicurezza), covi dei brigatisti sotto il controllo dei sevizi segreti al di fuori delle indagini ufficiali della polizia, il possibile coinvolgimento della struttura segreta denominata Gladio, depistaggi e ritardi nelle investigazioni: sono alcuni dei particolari inquietanti portati alla luce dall’attività della commissione che fanno capire quanto ancora sia lontana la verità definitiva sul rapimento e l’uccisione di Moro, e sui risvolti politici e le trame occulte che dietro quegli eventi si celano.
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