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Caso Ruby: quando le femministe snobbano «Ora basta!» di Concita de Gregorio

Creato il 08 febbraio 2011 da Iljester

Caso Ruby: quando le femministe snobbano «Ora basta!» di Concita de GregorioSe c’è un giornale (pure online) di sinistra che merita ogni tanto di essere letto, questo è indubbiamente Il Riformista. Al di là della generale non condivisione della linea editoriale, questo giornale sicuramente appare più ancorato alla realtà e meno visceralmente antiberlusconiano di quanto lo siano i foglietti giustizial-paternalistici della sinistra «bene». Senza sprecarmi in un inutile elogio, forse è più onesto e obiettivo, seppur visto da sinistra. E proprio oggi a conferma di questa impressione, ho letto due interessanti articoli. Il primo riguarda  Roberto Saviano, che vi invito a leggere per conto vostro. Il secondo riguarda l’appello di Concita De Gregorio, «Ora basta!», contro la presunta offesa della dignità delle donne oneste in seguito alle condotte sessuali del Premier, alla luce dello scandalo Ruby, che qui di seguito commento.
Ebbene, l’articolo è firmato da Lucetta Scaraffia, e offre una riflessione davvero interessante «sull’indignazione» moralistica e bacchettona del «femminismo» proposto dalla direttora dell’Unità. In particolare, la giornalista rileva come il femminismo, quello storico, quello delle donne che negli anni ‘70 urlavano «la vagina è mia e me la gestisco io», quello che voleva la donna emancipata, sessualmente libera e in un rapporto di piena parità con l’uomo… quel femminismo ha praticamente snobbato (e causticamente criticato) la protesta della Concita. E questo perché per le donne è fondamentalmente una protesta discriminatoria, poiché qualifica le donne «bene» come donne, e le prostitute, come prostitute. Ecco che allora, la giornalista (Lucetta Scaraffia), chiede lumi alle femministe storiche. Ne esce un quadro indubbiamente non confortante per la paladina del neofemminismo politicamente fazioso dell’Unità.

… La risposta comunque la dà il sito Donnealtri, con un puntuale articolo di Franca Fossati: “Rubygate, le donne che non firmano”. Non firmo l’appello “ora basta” della direttrice dell’Unità (19 gennaio) e non vado alla manifestazione (quella di sabato 29 gennaio): lo ha scritto la filosofa femminista Luisa Muraro in una lettera a una giovane amica. «Sono molto critica – dice – verso la separazione fatta da Concita De Gregorio fra quelle che non si prostituiscono, alle quali lei si rivolge, e quelle che si prostituiscono, escluse da ogni considerazione». Inoltre «l’indignazione contro la miseria sessuale di uomini al potere deve venire principalmente da uomini a loro vicini, se hanno il senso della decenza…» (libreriadelledonne.it). Anche Anna Bravo sostiene che sono gli uomini a doversi sentire sminuiti, a dover sentire messa in repentaglio la loro dignità, non le donne…

È facile scorgere in queste parole il vero femminismo; quello che non divide il mondo femminile in donne buone e cattive, sante e puttane, ma in donne che vogliono pari dignità con gli uomini, e uomini che spesso dimenticano di riconoscerla. Del resto, dalle parole delle femministe trapela il sunto secondo il quale la miseria sessuale di alcuni uomini (il riferimento al Premier è quasi d’obbligo) dovrebbe provenire dagli uomini a loro vicini, e non già dal mondo generale delle donne che in questo affare non ci hanno sicuramente fatto la figura delle vittime.
Ma la riflessione del femminismo storico prosegue nell’articolo della giornalista de Il Riformista:

… «Al riparo dalle grandi testate che lo ignorano, si svolge un dibattito appassionato e spregiudicato sul rapporto tra sesso e potere» scrive Fossati. «Andare in piazza per dire “non sono una prostituta” ma una giornalista la sento come una miseria troppo grande per una donna (…)», sostiene Marina Terragni nel suo blog (leiweb.it). «Non ho firmato, non ho partecipato», dice anche Laura Balbo (sbilanciamoci.info), «non mi va bene» che si assumano le vicende di questi giorni «come una specie di segnale che d’improvviso ci dovrebbe rendere più consapevoli e attive, farne una nostra priorità. Perché dovrei sentirmi più disturbata io di altri (maschi e femmine)?». Così Lea Melandri e un’altra femminista “storica”, Emma Baeri, e Manuela Fraire, che interpreta il Rubygate alla luce della paura della morte, del «vuoto di senso attorno a cui ruota il potere»…

Che dire? Queste sono sicuramente femministe. Non sfruttano politicamente un caso (dubbio) per sollevare indignati giudizi morali universali basati su una discriminazione manichea tra prostitute e donne perbene, tra uomini depravati e uomini sessualmente morigerati. Del resto loro (le femministe) hanno altro a cui pensare. Ci sono problemi veri che occupano le loro attività femministe. Che non sono certamente quelli sollevati dalla Concita a proposito degli affari di mutande del Premier.
E persino la giornalista de Il Riformista pare d’accordo con loro, e con me. Mi domandai infatti qualche, a proposito del Movimento organizzato da Travaglio, Santoro e Spinelli, quale fosse il modello di donna proposto dai moralizzatori della domenica. La risposta fu questa: «Quello per caso della «mignotta» che si vende ai politici? In tal caso, se è questo il «modello» contestato, debbo precisare che il «mignottismo» non è un modello né un vizio femminile (peraltro c’è anche quello maschile) inventato da Berlusconi. A meno che non si voglia attribuire all’odiato e vituperato Cavaliere Nero, un’età che si aggira intorno ai trenta mila anni (più o meno l’età della civiltà umana)…» Ebbene, Lucetta Scaraffia pare farsi la stessa domanda. Merita l’integrale riproduzione di quanto afferma nel suo articolo:

… le firmatarie dell’appello “Ora basta” sembrano dimenticare… che tutta questa disinvoltura nei rapporti sessuali, questa mancanza di ritegno nel palesare e vivere i propri desideri erotici e nel farne oggetto di vari scambi, ha radici ben più antiche della stagione politica berlusconiana. Al loro tempo (spesso durato fino a ieri) molte, se non tutte, delle signore oggi nobilmente sdegnate hanno marciato a favore della libertà e della promiscuità sessuali, dell’aborto, del divorzio, hanno delegittimato e spesso irriso castità e fedeltà, e fino a pochi giorni fa hanno sostenuto risolutamente la pillola del giorno dopo come diritto di ogni minorenne. Guai a dire che forse era necessario insegnare ai ragazzi dei freni alla pratica di una sessualità indiscriminata, che l’eros non sempre è sinonimo di civiltà: si veniva indicate come parruccone e reazionarie, nemiche di quel grande progresso dell’umanità che sarebbe la libertà sessuale…»

Sul punto, la giornalista prosegue stigmatizzando l’approccio politico al caso Ruby, definendolo sostanzialmente sbagliato e – parole mie – manicheo e fazioso. Del resto, per dirla con la Scaraffia, Ruby indubbiamente non è la vittima di una «tratta delle bianche», ma è il prodotto più autentico (forse persino esagerato) del famoso detto «il corpo è mio e me lo gestisco io» di matrice femminista. Il che mi porta a concludere (parafrasando la giornalista) che il femminismo e la difesa delle libertà femminili – condivisibili o meno che siano – sono qualcosa di molto più serio e complesso di una protesta ipocrita e sdegnata sulle abitudini sessuali (ancora presunte) del Premier. Concita De Gregorio e il suo drappello di «femministe» della domenica dovrebbe occuparsi di ben altro…

Per chi volesse leggere l’articolo originale: No mi riconosco nell’appello (Il Riformista)


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