“16 Aprile 1593Abbiamo attraccato al Porto Leone, appena un riparo rispetto a quel che fu una volta il gloriosissimo Pireo che Pericle unificò ad Atene con la famosa muraglia. Ma questo famoso porto oggi non offre nemmeno erba per le capre e la gloria della Grecia classica, (Atene ndr) la sublime città di Platone, di Alcibiade, di Temistocle e di Milziade, aldifuori di un presidio turco sull’Acropolis, conta circa 150 baracche!Ma quest’Acropolis è di una bellezza……Ma oltre quest’opera del genio umano, qualche storpia statua qua e là e una manciata di colonne, nella più famosa città dell’antichità non vedi niente altro che polvere, fango e cani assettati” (Dionisios Romas – Periplous – I tumulti dei popolani)La situazione non era molto diversa nel 1834, quando Atene fu proclamata capitale del neostato greco. Contava 10.000 abitanti e si estendeva intorno ad Akropolis con centro città il quartiere di Plaka.Nei seguenti 4 anni furono costruite circa 1.000 abitazioni, molte delle quali abusive. Il re Ottone con un editto fece demolire quelle abusive intorno ad Akropolis e ne vietò la costruzione di altre, pena l’immediata demolizione. Perse di popolarità tra i poveri, ma il destino della città era già segnato.
Diventò polo di attrazione e flussi inarrestabili di gente da ogni parte del paese vi arrivava in cerca di lavoro e di una vita migliore. Non credo di sbagliare se dico che questo flusso si arrestò soltanto nel 2009, quando è cominciata una leggera inversione di tendenza, ma sto divagando…. Nel 1896, anno delle prime Olimpiadi dell’era moderna, Atene era radicalmente cambiata. Contava circa 140 mila abitanti ed era diventata il centro commerciale e intellettuale del paese.
Un mestiere che abbondava durante quel periodo fu quello del venditore ambulante. Dall’acquaiolo allo stagnino, dal venditore di ghiaccio a quello di latte, tutta una serie di beni ma anche di servizi li offriva il venditore ambulante, figura ormai praticamente estinta. Uno di questi fu anche lo “stragalàs”, il venditore di ceci abbrustoliti. Il mestiere entrò in crisi già nel primo decennio del XX secolo, ma fino ad allora lo stragalàs girava per le vie della città vendendo ceci abbrustoliti che comprava una clientela quasi esclusivamente giovane. Questione di dentatura immagino!!! Il mestiere scomparse, ma non i ceci abbrustoliti che da piccola e noncurante della dentatura mangiavo con disinvoltura e gran piacere. Ora sto più attenta, ma quando mi prende la nostalgia del sapore, ne compro un po’, li pesto nel mortaio e aggiungo qualche uvetta.In alternativa li preparo io, come segue, croccanti ma morbidi abbastanza da non correre rischi.Ingredienti:- 200 gr. di ceci- 1 cucchiaio di olio evo- 1 cucchiaio di limone- paprika e/o altre spezie a piacimento- timo e/o altre erbe aromatiche a piacimento- maggiorana- sale- olio evo per la tegliaProcedimento:Mettere in ammollo in acqua fredda i ceci per almeno 10 ore. Scolare, sciacquare e metterli con abbondante acqua fredda a lessare. Quando saranno morbidi ma non troppo, scolarli e stenderli su carta assorbente per asciugarli dopodichè versarli in una ciotola grande.In un ciotolino mescolare l’olio, la paprika, le erbe e il sale e versare sui ceci. Mescolare bene.Oliare una teglia da forno e stendere in uno strato unico i ceci. Infornare per circa 15 minuti a 200 gradi.credits foto: palia Athina