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Una volta così si veniva definito il comportamento di quegli impiegati delle aziende pubbliche, in primo luogo i giornalisti e i dipendenti della RaiTv, che utilizzavano il mezzo che lo Stato gli aveva messo a disposizione, utilizzandolo per i propri scopi personali, invece di soddisfare quelli generali del pubblico.
Si potrebbe facilmente obiettare che raramente i prodotti della RaiTv si sono potuti e si possono definire un vero «Servizio Pubblico», tanto che il giornalista Michele Santoro, che ha lasciato l’ente radiotelevisivo pubblico dopo tante polemiche sui contenuti delle sue trasmissioni, ha pensato bene di realizzare in proprio le proprie trasmissioni proprio per offrire al pubblico quel servizio pubblico che la Rai non è capace di produrre.
Una sfida coraggiosa e molto difficile da affrontare, quella raccolta dal giornalista salernitano, e che tale si è dimostrata fin dalle prime puntate, quando dopo la curiosità destata dalla novità gli ascolti sono cominciati a calare, arrivando a livelli probabilmente non previsti dagli autori della trasmissione, che era stata non a caso intitolata proprio «Servizio Pubblico».
La nuova trasmissione di Santoro paga inevitabilmente il non previsto cambiamento dello scenario politico nazionale, sul quale le trasmissioni di Santoro erano state calibrate negli anni passati, e l’aumentata concorrenza delle altri rete televisive, tenuto conto che alla Rai stessa e a Mediaset si era nel frattempo aggiunto il programma che l’ex collaboratore di Santoro Corrado Formigli ha realizzato su La7.
A questo punto è chiaro che, essendo in regime di autofinanziamento e dovendo fare i conti con gli spazi pubblicitari da vendere per andare avanti con la trasmissione e dovendo tristemente constatare che soltanto affrontando i grandi temi sociali, politici e economici non si riesce a raccogliere un pubblico sufficientemente ampio per vendere la pubblicità a prezzi convenienti, anche i puristi del servizio pubblico di «Servizio Pubblico» sono dovuti capitolare e ricorrere al più classico degli espedienti al quale tutti i programmi televisivi fanno affidamento per alzare il loro ascolto: chiamare il grande ospite che fa aumentare il numero dei telespettatori solo con la sua presenza.
La scelta migliore non poteva essere che quella di invitare in trasmissione Adriano Celentano, appena reduce dalle polemiche e dal successo di pubblico del Festival di San Remo, anche perché gli altri pochi personaggi dello stesso calibro non usano muoversi senza pretendere altissimi cachet. Non che Celentano faccia eccezioni in questo, ma dal momento che in realtà egli non si muove, ma si collega dalla sua villa di Galbiate c’è speranza che per una volta si sia concesso gratuitamente alle telecamere del fidato Sandro Ruotolo, che l’ha intervistato, o meglio ne ha raccolto i pensieri, perché un’intervista presuppone l’interazione tra il giornalista e l’intervistato, mentre quello di Celentano è stato per lo più un monologo.
Inutile discutere dei contenuti dell’intervento dell’ex molleggiato, che possono essere riascoltati sul sito della trasmissione, che hanno ricalcato quelli già proferiti sul palco dell’Ariston, e che sono oggi oggetto di interpretazioni e critiche positive o negative su tutti i media, mentre vale invece la pena di rilevare che l’operazione che la redazione di «Servizio Pubblico» è sostanzialmente fallita, dal momento che nonostante la cura posta nel creare l’effetto dell› evento eccezionale l’ascolto della trasmissione è rimasto sui livelli delle ultime puntate (1.688.000 spettatori, pari al 6.71% di share ) con un leggero aumento rispetto all’ultima, ma sotto la media annuale di 1,9 milioni di spettatori e il 7,68% di share).
Un risultato che dovrebbe ora far pensare i tanti che credono di sapere tanto dei gusti televisivi degli italiani e pontificano tutti i giorni sui media, dovrebbe far pensare Santoro e i suoi collaboratori sul significato del termine «Servizio Pubblico», ma soprattutto lo stesso ex Molleggiato, che chiuso nella sua villa di Galbiate forse si è fatto un’idea della società italiana contemporanea non corrispondente alla realtà.
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