Mercoledì 27 Febbraio 2013 21:02 Scritto da Martina Vecchi
Lavorava la legna in maniera elegante e sapiente, realizzando superbi pezzi da collezione.
Non era un falegname qualunque, ma un vero e proprio artista, anzi, il re dei cavalli a dondolo, come amava definirsi.
Gli venivano commissionati lavori anche dall’estero. Un suo affezionatissimo cliente era Lord James Horwood, banchiere di professione e critico d’arte, disposto a spendere cifre proibitive per uno dei famosi pezzi di Mastro Sigfrido.
Anche Madame Bernardine Clouet, della Clouet & Co., famosa catena di boutiques sparse per tutta la Francia, non mancava mai di farsi inviare uno dei famosi tavolini a zampa di leone intagliati e laccati,da collocare in bella vista nei suoi numerosi salotti.
Mastro Sigfrido era un instancabile lavoratore, capace di svegliarsi all’alba e andare a letto tardissimo, se aveva un progetto in mente.
Nell’ultimo periodo si era messo a realizzare elaborate e complicate cornici in legno per specchi. Tracciava lo schizzo su un foglio di carta, dopodiché lo studiava per alcuni giorni e poi via, sega, carta da vetro, colla, lucido, vernice, polvere dorata.
La sua ultima fatica era la cornice per un antico specchio di peltro barattato con un orologio da taschino dal suo rigattiere di fiducia.
Mastro Sigfrido aveva lavorato per giorni, settimane, fino a ottenere una meravigliosa cornice traforata, intagliata, incrociata, intersecata. L’aveva dipinta come la coda di un pavone, ma non l’aveva messa in vendita. L’avrebbe tenuta per sé, per soddisfazione personale.
Mastro Sigfrido viveva in una casetta al limitare del bosco, con la bottega attigua. Avrebbe voluto ampliarsi, modernizzarsi un po’. Molti gli avevano suggerito di trasferirsi in città ma, come tutti gli artisti che si rispettino, Mastro Sigfrido preferiva la quiete del bosco per concentrarsi e lavorare meglio.
Chi avrebbe mai detto che sarebbe diventato falegname! E un falegname coi fiocchi.
Da un po’ di tempo Mastro Sigfrido covava dentro di sé un progetto che non era sicuro sarebbe stato alla sua portata. Stancatosi di costruire oggetti che dovevano stare ancorati a terra come tavoli, sedie, cavalli a dondolo, armadi, accarezzava l’idea di una creazione “aerea”, che potesse stare in cielo. Un aeroplano? Non siamo sciocchi. Un deltaplano? Troppo da intenditori. Un aquilone? Troppo facile.
Voleva qualcosa che potesse stuzzicare la curiosità e l’interesse di tutti, magari anche dei bambini.
- Fantastico, Un aquiplano! - saltò su Celestino Mingherlino, il giorno in cui Mastro Sigfrido gli svelò il segreto.
- Un aquiche?! - Mastro Sigfrido lo guardò stralunato, non era certo di aver capito bene.
- Ma sì, un aquiplano! Un aquilone deltaplano. Così voli come un professionista però ti diverti come un bambino. Non è geniale? - domandò entusiasta Celestino.
- E’ completamente folle ... - rispose Mastro Sigfrido.
- Suvvia - tentò di convincerlo Celestino Mingherlino - non mi dirà che un artista come lei, senza macchia e senza paura non sarebbe capace di costruire un aggeggio simile.. Su, la aiuterò io, ci divertiremo un sacco! -
Celestino Mingherlino non se ne andava mai senza aver convinto qualcuno e, dato che era un omino sempre arzillo e ottimista, l’indomani di buon’ora si presentò alla bottega di Mastro Sigfrido con una montagna di roba in mano.
- E quelli cosa sono?- chiese stupefatto Mastro Sigfrido trovandosi sparpagliati sul tavolo da lavoro almeno un centinaio di enormi fogli colorati.
- Beh, fogli direi. E stoffa. Un sacco di stoffa. L’ho rimediata dalla soffitta di Clementina la sarta, ormai lei è anziana, non lavora più. Il resto l’ho raccattato un po’ qua, un po’ là. Allora, che ne dice, mastro Sigfrido? Secondo me può funzionare. Se ci mettiamo al lavoro subito in un paio di settimane avremo finito -
Il candore di Celestino Mingherlino lasciò Mastro Sigfrido disarmato. Si convinse a mettersi all’opera.
Per tre settimane i due lavorarono senza quasi fermarsi. Celestino Mingherlino era ben contento di dare il suo contributo alla scienza e, se mai l’aquiplano fosse diventato famoso, sperava di avere un piccolo riconoscimento, magari il suo nome scritto in piccolo piccolo sotto a quello di Mastro Sigfrido sul brevetto. Perché no.
Il progetto ideato da Celestino prese forma nella mente di Mastro Sigfrido.
Si trattava di costruire una sorta di deltaplano gigante, che ospitasse almeno tre o quattro persone, con la forma di un rombo e non di un triangolo, con una lunga coda.
Chiunque avesse volato col deltaplano si sarebbe posizionato a pancia in giù, ben saldo ad un supporto che avrebbe garantito l’equilibrio. Dato che l’aquiplano era pensato anche e soprattutto per i bambini, furono appesi alcuni seggiolini allo scheletro del deltaplano, in modo tale che i piccoli potessero stare comodamente seduti come sul dondolo o in passeggino, e intanto potessero godersi il panorama e il volo. Alle sezioni in legno duro, che costituivano la maggior parte del telaio, furono aggiunte parti metalliche di rinforzo, abbastanza leggere per poter consentire ai passeggeri di rimanere in aria, ma non troppo in alto.
Il telaio venne rivestito con un tessuto della stessa consistenza di un paracadute, ma Celestino Mingherlino, non contento, riuscì a convincere la sarta Clementina a cucire grandi quadrati di stoffe colorate e inserti di carta, rivestiti da una tela impermeabile.
Per finire, Celestino chiamò i suoi nipotini e Filippo, il figlio della fioraia, per aiutarlo a realizzare la lunga coda dell’aquiplano, intrecciando lunghissime strisce di stoffa intrecciata, e aggiungendo fiori e fiocchi alla fine.
Il giorno dell’inaugurazione c’era un gran fermento nel bosco: l’intero paese si era riunito nella radura, che offriva un’ ampia base di decollo e di atterraggio.
Il sindaco aveva chiamato la banda del paese, e il parroco aveva ingaggiato alcuni volontari per preparare un ricco rinfresco cha avrebbe avuto luogo nella grande palestra comunale, data l’impossibilità di celebrare la festa all’aperto per via del freddo di fine autunno.
Furono procurate molte coperte, e le mamme del paese si offrirono di preparare tè caldo e cioccolata per i bambini e tutti coloro che avessero voluto provare a volare in aquiplano.
I primi a salire furono ovviamente Celestino Mingherlino e Mastro Sigfrido. Il decollo avvenne senza problemi. Dall’alto, Celestino poteva godere della vista del bosco in autunno, del ruscello, del paese, della città, e anche scorgere le cime innevate dei monti. Era imbacuccato per bene, non voleva prendersi un malanno.
Mastro Sigfrido aveva gli occhi che luccicavano. Non poteva credere di aver realizzato quella meraviglia in così poco tempo. Il merito era in realtà di Celestino, che l’aveva convinto e aiutato nel lavoro. Al termine del volo, malgrado il freddo, una miriade di bambini si era già prenotata, i più piccoli assieme alle mamme.
Celestino Mingherlino e Mastro Sigfrido furono ringraziati con un caloroso applauso, e la banda cominciò a guidare, suonando un’allegra marcetta, la processione verso la sala del rinfresco.
Mastro Sigfrido ottenne dal sindaco una targa d’oro come miglior artigiano dell’anno. Avrebbero intitolato un parco giochi a suo nome. I suoi clienti stranieri si complimentarono con lui.
Celestino ricevette una menzione speciale in qualità di miglior cittadino dell’anno.
Quella sera tornò a casa tutto contento dai suoi gatti e dal canarino, si preparò una cioccolata, e si addormentò soddisfatto: l’aquiplano era davvero una grande invenzione.