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Cennino Cennini, “Il libro dell’arte” VII

Creato il 07 ottobre 2014 da Marvigar4

Cennino Cennini

IL LIBRO DELL’ARTE,

O TRATTATO DELLA PITTURA

DI CENNINO CENNINI

da Colle di Valdelsa; di nuovo publicato, con molte correzioni e coll’aggiunta di più capitoli tratti dai codici fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi

Firenze.

Felice Le Monnier

1859

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CAPITOLO L.

Della natura d’un giallo che si chiama àrzica.

Giallo è un colore che s’ chiama àrzica; il qual colore è archimiato, e poco si usa. Il più che si appartenga di lavorar di questo colore, si è a’ miniatori, e usasi più in verso Firenze che in altro luogo. Questo è color sottilissimo; perde all’aria; non è buono in muro; in tavola è buono. Mescolando un poco d’azzurro della Magna e giallorino, fa bel verde. Vuolsi macinare, come gli altri colori gentili, con acqua chiara.

CAPITOLO LI.

Della natura di un verde il quale è chiamato verdeterra.

Verde è un color naturale di terra, il quale si chiama verdeterra. Questo colore ha più proprietà: prima, ch’egli è grassissimo colore, e buono a lavorare in visi, in vestiri, in casamenti, in fresco, in secco, in muro, in tavola, e dove vuoi. Trialo a modo degli altri colori detti di sopra, con acqua chiara; e quanto più il trii, tanto è migliore. E temperandolo, sì come ti mosterrò il bolo da mettere di oro, così medesimamente puoi mettere d’oro con questo verdeterra. E sappi che gli antichi non usavano di mettere d’oro in tavola altro che con questo verde.

CAPITOLO LII.

Della natura d’un verde che si chiama verde azzurro.

Verde è un colore el quale è mezzo naturale: e questo si fa artifizialmente, ché si fa d’azzurro della Magna; e questo si chiama verde azzurro. Non ti metto come si fa, ma compera del fatto. Questo colore è buono in secco, con tempera di rossume d’uovo, da fare arbori e verdure e da campeggiare; e chiareggialo con giallorino. Questo colore per se medesimo è grossetto, e par come sabbionino. Per amor dell’azzurro trialo poco poco, colla man leggiera; però che se troppo il macinassi, verrebbe in colore stinto e cenderaccio. Vuolsi triarlo con acqua chiara; e quando l’hai triato, mettilo nel vasello dell’acqua chiara sopra il detto colore, e rimescola bene l’acqua col colore. Poi el lascia posare per ispazio di una ora, o due, o tre; e butta via l’acqua; e ’l verde riman più bello. E lavalo per questa forma due o tre volte, e sarà più bello.

CAPITOLO LIII.

Del modo come si fa un verde di orpimento e d’indaco.

Verde è un colore el quale si fa d’orpimento le due parti, e una parte indaco; e triasi bene insieme con acqua chiara. Questo colore è buono a dipignere palvesi e lancie, e anche si adopera a dipignere camere in secco. Non vuole tempera se non colla.

CAPITOLO LIV.

Del modo come si fa un verde d’azzurro e giallorino.

Verde è un colore che si chiama azzurro della Magna, e giallorino. Questo è buono in muro e in tavola, e temperato con rossume d’uovo. Se vuoi che sia bello più, mettivi dentro una poca d’àrzica. E ancora è bel colore mettendovi entro l’azzurro della Magna, pestando le prugnole salvatiche, e farne agresto, e di quello agresto metterne quattro o sei gocciole sopra il detto azzurro; ed è un bel verde; non vuole vedere aria. E per ispazio di tempo quell’acqua delle prugnole viene a mancare.

CAPITOLO LV.

Del modo da fare un verde d’azzurro oltramarino.

Verde è un colore che si fa d’azzurro oltramarino e d’orpimento. Convienti di questi colori rimescolare con senno. Piglia l’orpimento prima, e mescolavi dell’azzurro. Se vuoi che penda in chiaro, l’orpimento vinca; se vuoi che penda in iscuro, l’azzurro vinca. Questo colore è buono in tavola, e none in muro. Tempera con colla.

CAPITOLO LVI.

Della natura di un verde che si chiama verderame.

Verde è un colore il quale si chiama verderame. Per se medesimo è verde assai; ed è artificiato con archimia, cioè di rame e di aceto. Questo colore è buono in tavola, temperato con colla. Guarda di none avvicinarlo mai con biacca, perché in tutto sono inimici mortali. Trialo con aceto, che ritiene secondo suo’ natura. E se vuoi fare un verde in erba perfettissimo, è bello all’occhio, ma non dura. Ed è buono più in carta o bambagina o pecorina, temperato con rossume d’uovo.

CAPITOLO LVII.

Come si fa un verde di biacca e verdeterra, o vuoi bianco sangiovanni.

Verde è un colore di salvia, il quale si fa mischiato di biacca e verdeterra, in tavola, temperato con rossume d’uovo; o vuoi in muro, in fresco, mescolato el verdeterra con bianco sangiovanni, fatto di calcina bianca e curata.

CAPITOLO LVIII.

Della natura del bianco sangiovanni.

Bianco è un colore naturale, ma bene è artificiato; el quale si fa per questo modo. Togli la calcina sfiorata, ben bianca; mettila spolverata in uno mastello per ispazio di dì otto, rimutando ogni dì acqua chiara, e rimescolando ben la calcina e l’acqua, acciò che ne butti fuori ogni grassezza. Poi ne fa’ panetti piccoli, mettili al sole su per li tetti; e quanto più antichi son questi panetti, tanto più è migliore bianco. Se ’l vuoi far presto e buono, quando i panetti son secchi, triali in su la tua prìa con acqua, e poi ne fa’ panetti, e riseccali; e fa’ così due volte, e vedrai come sarà perfetto bianco. Questo bianco si tria con acqua, e vuole essere bene macinato. È buono da lavorare in fresco, cioè in muro, senza tempera; e sanza questo non puoi fare niente, come d’incarnazione, ed altri mescolamenti degli altri colori che si fa in muro, cioè in fresco; e mai non vuole tempera nessuna.

CAPITOLO LIX.

Della natura della biacca.

Bianco è un colore archimiato di piombo, el quale si chiama biacca. Questa biacca è forte, focosa, ed è a panetti, come mugliòli, o ver bicchieri. E se vuoi cognoscere quella ch’è più fine, togli sempre di quella di sopra della forma sua, che è a modo d’una tazza. Questo colore quanto più il macini, tanto è più perfetto, ed è buono in tavola. Ben si adopera in muro: guàrdatene quanto puoi, ché per ispazio di tempo vien nera. Macinasi con acqua chiara; soffera ogni tempera, ed è tutta tuo’ guida in ischiarare ogni colore in tavola, come ti fa il bianco in muro.

CAPITOLO LX.

Della natura dell’azzurro della Magna.

Azzurro della Magna è un colore naturale, el quale sta intorno e circunda la vena dell’ariento. Nasce molto in nella Magna, e ancora in quel di Siena. Ben è vero, che con arte, o ver pastello, si vuole ridurre a perfezione. Di questo azzurro, quando tu hai a campeggiare, si vuole triare poco poco e leggermente con acqua, perché è forte sdegnoso della prieta. Se ’l vuoi per lavorarlo in vestiri, o per farne verde come indietro t’ho detto, vuolsi triarlo più. Questo è buono in muro, in secco, e in tavola. Soffera tempera di rossume d’uovo, e di colla, e di ciò che vuoi.

CAPITOLO LXI.

A contraffare di più colori simiglianti all’azzurro della Magna.

Azzurro che è come sbiadato, e simigliante ad azzurro, sic: togli indaco baccadeo, e trialo perfettissimamente con acqua; e mescola con esso un poco di biacca, in tavola; e in muro, un poco di bianco sangiovanni. Torna simigliante ad azzurro. Vuole essere temperato con colla.

CAPITOLO LXII.

Della natura e modo a fare dell’azzurro oltramarino.

Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori; del quale non se ne potrebbe né dire né fare quello che non ne sia più. E per la sua eccellenza ne voglio parlare largo, e dimostrarti appieno come si fa. E attendici bene, però che ne porterai grande onore e utile. E di quel colore, con l’oro insieme (il quale fiorisce tutti i lavori di nostr’arte), o vuoi in muro, o vuoi in tavola, ogni cosa risprende. Prima, togli lapis lazzari. E se vuoi cognoscere la buona pietra, togli quella che vedi sia più piena di colore azzurro, però che ella è mischiata tutta come cenere. Quella che tiene meno colore di questa cenere, quella è migliore. Ma guar’ti che non fusse pietra d’azzurro della Magna, che mostra molto bella all’occhio, che pare uno smalto. Pestala in mortaio di bronzo coverto, perché non ti vada via in polvere; poi la metti in su la tua prìa profferitica, e triala sanza acqua; poi abbia un tamigio coverto, a modo gli speziali, da tamigiare spezie; e tamigiali e ripestali come fa per bisogno: e abbi a mente, che quanto la trii più sottile, tanto vien l’azzurro sottile, ma non sì bello e violante e di colore ben nero; ché il sottile è più utile ai miniatori, e da fare vestiri biancheggiati. Quando hai in ordine la detta polvere, togli dagli speziali sei oncie di ragia di pino, tre oncie di mastrice, tre oncie di cera nuova, per ciascuna libra di lapis lazzari. Poni tutte queste cose in un pignattello nuovo, e falle struggere insieme. Poi abbi una pezza bianca di lino, e cola queste cose in una catinella invetriata. Poi abbia una libra di questa polvere di lapis lazzari, e rimescola bene insieme ogni cosa, e fanne un pastello tutto incorporato insieme. E per potere maneggiare il detto pastello, abbi olio di semenza di lino, e sempre tieni bene unte le mani di questo olio. Bisogna che tegni questo cotal pastello per lo men tre dì e tre notti, rimenando ogni dì un pezzo; e abbi a mente, che lo puoi tenere il detto pastello quindici dì, un mese, quanto vuoi. Quando tu ne vuoi trarre l’azzurro fuora, tieni questo modo. Fa’ due bastoni d’un’asta forte, né troppo grossa, né troppo sottile; e sieno lunghi ciascuno un piè, e fa’ che sieno ben ritondi da capo e da piè, e puliti bene. E poi abbi il tuo pastello dentro nella catinella invetriata, dove l’hai tenuto; e mettivi dentro presso a una scodella di lisciva calda temperatamente; e con questi due bastoni, da catuna mano il suo, rivolgi e struca e mazzica questo pastello in qua e in là, a modo che con mano si rimena la pasta da fare pane, propriamente in quel modo. Come hai fatto che vedi la lisciva essere perfetta azzurra, trannela fuora in una scodella invetriata; poi togli altrettanta lisciva, e mettila sopra il detto pastello, e rimena con detti bastoni a modo di prima. Quando la lisciva è ben tornata azzurra, mettila sopra un’altra scodella invetriata, e rimetti in sul pastello altrettanta lisciva, e ripriemi a modo usato. E quando la lisciva è bene azzurra, mettila in su un’altra scodella invetriata: e per lo simile fa’ così parecchi dì, tanto che il pastello rimanga che non tinga la lisciva; e buttalo poi via, ché non è più buono. Poi ti reca dinanzi da te in su una tavola per ordine tutte queste scodelle, cioè prima, seconda, terza, quarta tratta, per ordine seguitando ciascuna: rimescola con mano la lisciva con l’azzurro che, per gravezza del detto azzurro, sarà andato al fondo; e allora cognoscerai le tratte del detto azzurro. Dilìberati in te medesimo di quante ragioni tu vuoi azzurri, di tre, o di quattro, o di sei, e di quante ragioni tu vuoi: avvisandoti che le prime tratte sono migliori, come la prima scodella è migliore che la seconda. E così se hai diciotto scodelle di tratte, e tu voglia fare tre maniere d’azzurro, fa’ che tocchi sei scodelle, e mescolale insieme, e riducile in una scodella: e sarà una maniera. E per lo simile delle altre. Ma tieni a mente, che le prime due tratte, se hai buon lapis lazzari, è di valuta questo tale azzurro di ducati otto l’oncia, e le due tratte di dietro è peggio che cendere. Sì che sie pratico nell’occhio tuo di non guastare gli azzurri buoni per li cattivi: e ogni dì rasciuga le dette scodelle delle dette liscive, tanto che gli azzurri si secchino. Quando son ben secchi, secondo le partite che hai, secondo le alluoga in cuoro, o in vesciche, o in borse. E nota, che se la detta prìa lapis lazzari non fusse così perfetta, o che avessi triata la detta prìa che l’azzurro non rispondesse violante, t’insegno a dargli un poco di colore. Togli una poca di grana pesta, e un poco di verzino; cuocili insieme; ma fa’ che il verzino o tu ’l grattugia, o tu il radi con vetro; e poi insieme li cuoci con lisciva, e un poco d’allume di rôcca; e quando bogliono, che vedi è perfetto color vermiglio, innanzi ch’abbi tratto l’azzurro della scodella (ma bene asciutto della lisciva), mettivi su un poco di questa grana e verzino; e col dito rimescola bene insieme ogni cosa; e tanto lascia stare, che sia asciutto senza o sole, o fuoco, e senz’aria. Quando il truovi asciutto, mettilo in cuoro o in borsa, e lascialo godere, ché è buono e perfetto. E tiello in te, ché è una singulare virtù a sapello ben fare. E sappi ch’ell’è più arte di belle giovani a farlo, che non è a uomini; perché elle si stanno di continuo in casa, e ferme, ed hanno le mani più dilicate. Guar’ti pur dalle vecchie. Quando ritorni per volere adoperare del detto azzurro, pigliane quella quantità che ti bisogna: e se hai a lavorare vestiri biancheggiati, vuolsi un poco triare in su la tua prìa usata: e se ’l vuoi pur per campeggiare, vuolsi poco poco rimenare sopra la prìa, sempre con acqua chiara chiara, bene lavata e netta la prìa: e se l’azzurro venisse lordo di niente, piglia un poco di lisciva, o d’acqua chiara, e mettila sopra il vasellino, e rimescola insieme l’uno e l’altro: e questo farai due o tre mute, e sarà l’azzurro bene purgato. Non ti tratto delle sue tempere, però che insieme più innanzi ti mosterrò di tutte le tempere di ciascuni colori in tavola, in muro, in ferro, in carta, in pietra, e in vetro.


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