Una
recente sentenza della Corte Costituzionale ha respinto i dubbi di costituzionalità dell’art. 4 della legge 194, quella che dal 1978 regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza, che erano stati sollevati da un giudice del Tribunale di Spoleto.
Bene, la legge è salva, ok, tutti contenti, fine momentanea degli hashtag #save194.
Un po’ meno contenti saranno stati g
li embrionofili che ci provano sempre a sabotare una legge dello Stato liberamente scelta dal popolo, quello stesso che poi nominano invano ogniqualvolta c’è aria di elezioni. Quelli che se ne fottono di vite adulte completamente formate, senzienti e magari tanticchia esodate ma cazzeggiano sulla capacità di discernimento cosciente dello zigote. Quelli secondo i quali, il giorno dopo la trombata, il pre-embrione, senza neppure essersi impiantato nell’utero e ancora in viaggio dalle parti delle tube, già chiamerebbe “mamma” disperato. Quelli che vorrebbero funerali di stato per il kleenex post coitale imbevuto di bambini morti e che inciderebbero sulle lapidi dei non nati: “Qui giace Aiace, strappato alla vita diletta da una misera pugnetta”.
Sono coloro che, tra una Madonnina triste e un Papa che vuole tanto bene ai bimbi, postano sui siti ultracattolici, per dimostrare la perfidia degli abortisti, le foto con gli spezzatini di feto, gli embrioni a tocchetti e le testoline e piedini che spuntano dal bidone della spazzatura ospedaliera.
Sono quelli che, se lavorano in TV, ci offrono ogni tanto, in prima serata e a tradimento perfino nel più laico dei TG, sguainando la solita estetica cattonecrofila, il servizio lacrimogeno sull’ennesima mamma kamikaze che ha preferito non curarsi il cancro e morire pur di dare alla luce il figlio che portava in grembo. Ovvero la creazione di un povero orfano che soffrirà tutta la vita del senso di colpa per aver causato la morte di sua madre.
Tuttavia, se odio gli embrionofili che vorrebbero farci ritornare ai tempi del proibizionismo, quelli di
Vera Drake e
Marie Latour, devo dire che ultimamente provo un fastidio prossimo all’intolleranza anche nei confronti di quelli che parlano di aborto e della relativa legge come se la questione fosse solo di diritto individuale, dimenticando che invece si tratta di un atto che coinvolge sempre altri soggetti oltre la donna, non ultimo l’uomo che ha provocato ‘o guaio e la povera creatura che ci va di mezzo. Perché l’aborto, rigirandolo pure come ci pare, è qualcosa che segna la vita di tutte le persone che ne sono coinvolte, è un dramma collettivo e a volte inguaribile. Forse sono effetti che si vedono meglio nel lungo periodo, dopo che hanno scavato e logorato i meandri dell’inconscio e della memoria.
Penso alle donne che sono state costrette ad abortire a causa del rifiuto del loro uomo di assumersi delle responsabilità ed agli uomini che non hanno avuto il tempo di assumersi le proprie responsabilità di padri perché la loro donna ha deciso di abortire senza nemmeno chiedere il loro parere. Ai figli che sembrano psicologicamente affetti dalla sindrome del sopravvissuto e che un giorno scoprono, magari per caso, che i loro genitori avevano rifiutato un altro figlio precedente abortendolo perché non volevano noie.
Proprio per questa sua portata psicologicamente devastante, occorrerebbe non dimenticare mai di ricordare che l’aborto andrebbe utilizzato solo come estrema ratio e che sarebbe auspicabile sparisse dalla faccia della terra. Il metodo per farlo sparire ci sarebbe ma, per motivi misteriosi, sembra che non riusciamo a vederlo.
Mi sono sempre chiesta e me lo chiedo soprattutto quando si riparla di legge 194, perché non vi siano continue campagne che insegnino, soprattutto alle giovanissime (madri, dove siete?), l’importanza della contraccezione come metodo infallibile per evitare il trauma dell’aborto. Prendere la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo non risolve il problema del controllo della fertilità. Personalmente, approfondendone le dinamiche, li trovo metodi orrendi e che non responsabilizzano affatto chi li attuano. E’ come quello che pecca, tanto poi ci sono la confessione e l’assoluzione a parargli il culo
Se si ha una vita sessuale attiva, perché diavolo non usare la contraccezione, la pillola? Perché non assumersi la responsabilità dei propri atti?
Quanti sono, quarant’anni, che c’è la pillola? Eppure in Italia
siamo meno del 20% a prenderla per regolare la fertilità ed evitare gravidanze non desiderate. Un ottanta per cento abbondante di donne in età fertile si affida al caso, a metodi improbabili ed inefficaci e per questo tanto amati dai preti – come il metodo Billings insegnato alle coppie in Parrocchia, a fragili e dispettosi preservativi, all’aborto mascherato della pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo oppure a quello chirurgico vero e proprio. Troppo comodo.
Il diritto a decidere sul proprio corpo. Giusto, però non diamo sempre la colpa ai preti se la contraccezione non è praticata. Dobbiamo riconoscere che esiste l’assurda paura che la pillola faccia ingrassare, che faccia venire il cancro, che ci faccia sparire quelle belle mestruazioni dolorose e splatter stile vacca scannata alle quali siamo tanto affezionate (chissà perché) e senza le quali alcune non si sentono abbastanza donne. Per non parlare della paura di non poter più rimanere incinte e tutta una serie di altre scuse che impediscono alle donne di responsabilizzarsi prendendo la fottuta pillola e decidere veramente quando fare un figlio senza procurare traumi a sé e ad altri.
Sono disposta a lottare con il coltello tra i denti affinché nessuno, per oscurantismo religioso, possa privare una donna del diritto di abortire se è rimasta incinta dopo uno stupro o se potrebbe rischiare la propria vita mettendo al mondo un figlio (scusate, kamikaze si nasce e noi non lo nascemmo necessariamente), oppure se fosse mentalmente non in grado di diventare madre, ma in cambio voglio un maggiore impegno da parte delle
donne che parlano di donne a favore della contraccezione. Anzi, lo pretendo.