Vi riporto un comunicato che mi è arrivato ieri dalla Triennale di Milano. L’appuntamento è domani alle 17 (naturalmente eheh):
Ultima delle performance organizzate nell’ambito della mostra Made in Japan (fino al 1 aprile 2012).
Il CHA-NO-YU arrivò in Giappone con i monaci buddisti zen, che tornavano in patria dopo aver compiuto i loro studi in Cina, intorno al XIII secolo. Durante la seconda metà del XVI secolo, il Maestro Sen no Rikyu (1522-91), codificò il rito nella sua forma attuale.
Il CHA-NO-YU consiste nell’offrire un pasto leggero, preparare il fuoco per far bollire l’acqua e offrire un tè denso, forte e cremoso bevuto da tutti gli ospiti in una stessa tazza. Successivamente, si prepara un tè non denso, ma schiumoso, offerto singolarmente a ciascun partecipante.
Rikyu si fonda su quattro principi:
- Armonia: relazione che si crea tra il padrone di casa e l’invitato, tra le persone e il mondo e tra le persone gli utensili e la maniera in cui essi vengono usati.
- Rispetto: rivolto a tutte le cose come gratitudine per la loro esistenza. Questo principio spinge a unascolto empatico delle persone e a una sensibilità per le cose che ci circondano.
- Purezza: riferita sia all’ambiente e agli oggetti, sia all’interiorità.
- Serenità: acquisita con la pratica dei precedenti tre principi nella vita quotidiana.
La cerimonia del tè può esser considerata una forma d’educazione volta a far emergere le possibilità e a sviluppare le potenzialità dell’individuo. A volte si scontra con l’orgoglio, l’apatia, i pregiudizi, l’insoddisfazione e anche la pigrizia, fisica e mentale. Questi stati d’animo traspaiono dalle azioni quotidiane. È un’esperienza, un venire a contatto col proprio sé, nel modo più immediato possibile. Il semplice gesto quotidiano acquista ogni volta un significato nuovo, una diversa intensità, nella consapevolezza delle nostre azioni, favorendo una serenità che aumenta in sintonia col mondo.
Acqua calda per il tè nel progetto di umanizzazione ospedale (PUO)
Il CHA-NO-YU introdotta nella relazione con i malati da S. Saito Watanabe e dell’Associazione Culturale URASENKE è un evento del Progetto di Umanizzazione dell’Ospedale, responsabile dott. S. Marsicano, prodotto da AMOlavitaONLUS, presidente sig. P. Fumagalli. Quest’ultima opera a favore dell’Oncologia Medica, Ospedale S. Carlo Borromeo di Milano, direttore dott. M. Moroni, con l’obiettivo di prendersi cura degli stati di spaesamento psichici, sociali, antropologici generati per la diagnosi e durante la cura medica dei tumori.
Il Sistema Sanitario Nazionale cura i malati incurabili fin a 100 anni fa, mentre oggi il 50% guarisce. Il miglioramento della prognosi trasforma tuttavia in cronicità la guarigione del tumore, che va monitorata per prevenire e curare. Diagnosi e cura clinica scombinano le abitudini di malati, di cui il 60% è oltre i 65 anni (25% della popolazione sana) ed è più fragile, con meno risorse e trova più difficile sopportare con speranza la malattia. Il 40% dei malati è invece in età lavorativa. La malattia menoma le possibilità d’azioni lavorative e sostegno per sé e la famiglia e frena le abitudini della vita quotidiana dei malati, che regrediscono a stati di maggior dipendenza, con molta ansia.
Il PUO si prende cura delle esigenze psico-socio-antropologiche dei malati, dei loro familiari e del personale sanitario, secondo tre direttrici:
- Ambiente: armonizza la presenza umana in ospedale con elementi comuni (alimentazione -tempo/spazio-; veglia/sonno -tempo/spazio giorno-notte-; affettività: tempo/spazio gioco, spettacolo, attività, spiritualità).
- Formazione: iniziative per aggiornare il personale su aspetti psicosociali, comunicazione, differenze culturali.
- Organizzazione del lavoro: iniziative per migliorare il benessere di pazienti, loro familiari e personale sanitario, proponendo soluzioni o eventi che migliorino la qualità della vita delle persone coinvolte nel corso della cura clinica.
LA CHA-NO-YU NEL PUO è stata inserita all’inizio del 2011. Gli obiettivi che il PUO si propone di realizzare sono:
- Contenitore ambientale d’ansia dei pazienti: realizzato con strumenti sociali abitudinari come l’alimentazione, nel rispetto dei tempi rituali della società.
- Arte per liberare dalla cupezza del reale: rappresentazione di un rito, con trasformazione dell’affettività dei pazienti dalla cupezza alla serenità.
- Organizzazione del lavoro: ibridazione del rito su uno esistente, cambiando la bevanda della cerimonia da tè a camomilla, somministrata ai pazienti dopo-cena e prima d’addormentarsi.
Formazione: somministrazione ostensiva (non prescrittiva come in corsi d’aggiornamento) dell’utilità benefica delle forme e delle espressioni dell’alterità, nel prendersi cura dello spaesamento che la malattia produce nei pazienti e nei loro familiari.