Non so cos’è il ciclismo. Forse è un po’ come prendere tanti amici e metterli su un pullmino tipo il VolKswagen da hippy che aveva anche mio nonno e dargli in mano una cartina. Un viaggio on the road dove ciascuno ritrova sempre un po’ di sé stesso.
Ieri a Lugano era prevista pioggia, invece la nebbiolina che si è alzata dal lago immobile ha lasciato posto al sole. E tra i chiacchiericci, le coppie mano nella mano, i cagnolini saltellanti vicino alle gambe dei loro padroni, i chioschi che alle otto di mattina spargono nell’aria profumo di hot dogs mischiato a una canzone dei Rolling Stones, si sono fatti largo i pullman delle squadre. Il viaggio ricomincia ogni volta, ogni giorno. Si arriva, si corre, si riparte. Di nuovo, ancora. E’ la vita.
I massaggi, qualcuno che sorseggia caffè a piedi scalzi, stringe gli scarpini, sistema il casco. Piccoli rituali che incuriosiscono la gente, i bambini che corrono con i loro monopattini sul lungolago.
Poi la concitazione prima della partenza, gli smartphone e i tablet che fanno lavoro doppio in questa giornata di primavera inaspettata: come in un viaggio, tutti vogliono una foto che lo documenti. Anche questa corsa parte e tutti smettono di incrociare le dita: la neve che l’anno scorso l’ha cancellata oggi brilla solo sulle montagne che si specchiano nel lago.
Cinque giri del circuito attorno a Lugano. Un gruppetto tenta la fuga al secondo passaggio poi le carte si mischiano, i componenti cambiano, il distacco aumenta. Un ragazzo della MTN-Qhubeka che il giro prima era tra i fuggitivi, al passaggio successivo è ultimo. Staccato. E’ una corsa nella corsa, sempre. Cavalcare l’onda dell’asfalto per ore senza farsi risucchiare. Quelli dietro continuano a pedalare dietro la locomotiva dell’AG2R e poi della Lampre-Merida. Vanno a tutta, devono mangiarsi quei minuti se vogliono preparare il terreno ai loro velocisti. Tra i fuggitivi c’è anche Simone Petilli. Già al Laigueglia aveva dimostrato di essere un uomo da fughe, di quelli che ci mettono benzina senza riserve.
“E’ sempre stato così” dice uno che lo conosce bene. “Becca la fuga buona e resiste, ci dà dentro.”
Prendere quella buona. Sì, a volte funziona. La strada spesso ascolta i coraggiosi e li premia.
Non questa volta, però. In gruppo c’è Mauro Finetto. Amore per la bicicletta, come gli altri e un anno vuoto alle spalle. Non di vittorie: vuoto proprio. Niente squadra, niente corse, niente. Un anno a piedi, come capita a molti: ciclisti disoccupati che sperano di tornare in sella perché il tempo, per quelli che pedalano, non è prezioso, è di più. La strada premia il suo di coraggio, in una Lugano che aspetta, metro per metro, la volata di gruppo per sapere chi uscirà con le braccia alzate. Mauro è davanti a tutti. Un urlo di gioia che nella ressa, con la voce del Brambilla che grida la sua vittoria, non si sente. Ma è impresso nelle fotografie che a volte raccontano istanti che sfuggono. A questo servono, proprio come le parole scritte. Fissare quello che è stato per non abbandonarlo alla macchina del tempo che scorre.
“Ritrovare la vittoria dopo il mio anno nero è fantastico” dice. “E’ un sogno, non mi sono ancora reso conto bene di avercela fatta. Troppe volte sul finale mi è andata male.”
Una sorpresa, qualcosa che arriva inaspettato, come quel sole che ha baciato Lugano senza che nessuno lo avesse previsto. Mauro le gambe ce le ha sempre avute ma si sa che decide la strada. Senza esagerare: decide un po’ il Destino. La dedica è speciale, collettiva e allo stesso tempo per ciascuno, per ogni persona che lo ha sostenuto nella difficoltà, la sua famiglia, la sua ragazza. Sì, chi ci da fiducia anche quando ci sono pochi motivi per farlo ha la priorità quando si torna sul gradino più alto del podio.
“Io Mauro lo vedo un po’ come un leone” dice una sua fan, mentre nell’aria ristagna l’odore di champagne che ha incollato i coriandoli bianchi a terra e si cominciano a portar via le transenne. “Un leone in gabbia che oggi ha potuto finalmente uscire.”
Tornando a casa il lago sfila dal finestrino, luccicante nell’ultimo sole e ho il rock intelligente dei Ministri nelle orecchie.
“Che bello avere un’idea forte
e difenderla fino alla morte”
Mauro ha avuto la sua idea forte. Cos’è alla fine un traguardo? Se è vero, lo inseguiamo fino alla fine, con tutto quello che abbiamo dentro, raschiando anche dai nostri piccoli angoli bui. Lo ha difeso a denti stretti, Mauro, il suo sogno di ritornare in gruppo. Ce l’ha fatta.
“Aver paura che cominci il giorno
e che la luce ti cancelli il sogno”.
Nessuno cancella il tuo sogno, Mauro. E’ tutto vero, Lugano è testimone del tuo ritorno.
Siamo abituati a vedere il primo sulla linea bianca, vittoria di muscoli, potenza e colpi di reni – o di fortuna – ma quel traguardo non è solo un traguardo: cancella tutto quello che anche noi, nella vita, siamo: stanchi, impotenti, malinconici. Teniamoci le nostre idee forti e stringiamo i denti per difenderle. Faremo di tutto. Il fotofinish questa volta ci ha insegnato che ne vale la pena. Sempre.