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Che cos’è una storia

Da Marcofre

Se vogliamo (provare a) rispondere alla questione “Che cos’è una storia” credo che sia indispensabile rivolgersi alla zia, intendo la scrittrice statunitense Flannery O’Connor.

 

“Chiamerò storia un testo narrativo di qualsiasi lunghezza, si tratti di un romanzo o di un’opera più breve, anzi la chiamerò storia ogniqualvolta personaggio e avvenimenti particolari si influenzino a vicenda formando una narrazione con un suo significato”.

 

Se la definizione può apparire un poco complicata, la sua pratica (vale a dire: scrivere) è pure peggio. Per esempio: avvenimenti particolari. Bene, cosa significa?

Per la maggior parte delle persone (il pubblico insomma) un avvenimento particolare è qualcosa di grande, o di enorme. Non può essere piccolo, o se lo è, deve almeno possedere delle caratteristiche tali da giustificare la sua presenza sulla pagina.

Voglio dire: non può essere piccolo e poetico. O piccolo ed efficace.

Deve essere piccolo e utile.

Lungi da me la tentazione di condannare l’impegno. Però a mio parere uno dei racconti perfetti in circolazione è “Bartebly lo scrivano” di Herman Melville. Una storia piccola, assurda, che in una realtà dove l’ideologia utilitaristica domina, la lettura di una tale opera viene considerata superflua. Perché non è utile.

Un personaggio impotente, che non protesta, è sciocco (lui) e dannoso (il racconto) perché potrebbe spingere al disimpegno.

Può darsi, ma a chi scrive cosa diavolo gliene deve importare? Anche se per qualcuno sembrerà un’eresia, scrivere con efficacia e comunicare valore non è robetta. Anzi, è il suo solo dovere, a lui deve rispondere e a nessun altro. Questo produce grave incomprensioni, certo e non garantisce il successo, al contrario. Inoltre, richiede determinazione e impegno.

Una frase che richiede una riflessione adeguata…

 


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