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Che figura! L’ossimoro

Creato il 06 giugno 2010 da Fabry2010

Che figura! L’ossimoro

I quadri di Edward Hopper sono un manifesto dell’ossimoro: l’apparente calma delle atmosfere, delle situazioni, dei volti, unita alla perfezione dell’immagine -tanto perfetta e plastica da apparire falsa- suggerisce, au contraire, un senso di estrema inquietudine.
L’ossimoro mi è tornato in mente anche leggendo l’ultimo romanzo di Francesco Recami, Prenditi cura di me. Mi è sembrato un ossimoro lungo 270 pagine, per la scrittura piana nella sua oggettività, a cui fa da contraltare la meschinità di quelli che in terza di copertina sono definiti “i nuovi miserabili della nostra epoca”, personaggi come il protagonista, tanto inquietanti quanto banali nella loro aridità d’anima.
Un esempio tratto da Recami? Eccolo. C’è il protagonista alle prese con la madre colpita da ictus:
“Poi la Marta si abbandonò come morta, come se non avesse più neanche voglia di reagire, chiusa nella sua incazzatura, a tutti incomprensibile. Per la mezz’ora successiva non dette segni di reattività e Stefano se ne andò, salutandola sommessamente, ma la tristezza che provava non era per lei, tanto ormai non capiva più niente, ma per se stesso.”
I paralleli con le opere di Hopper, con la loro apparente nitidezza contrapposta a una tensione sotterranea, mi sembrano evidenti. Del resto Hopper non è l’unico ad aver rappresentato magistralmente visioni di natura ossimorica.
Prendiamo Magritte, e il bellissimo Impero delle luci, del 1954.

Che figura! L’ossimoro

A proposito di questo quadro l’autore dichiara: ” Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e di notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia.”
Un ottimo esempio di ossimoro, considerato che apparentemente il quadro sembra un’immagine normale, di taglio fotografico, mentre considerandola più attentamente emerge l’inquietudine espressa dal trovarsi di fronte a due rappresentazioni contemporanee del giorno e della notte, con l’elemento oscuro dell’albero che costituisce il punto di separazione delle due parti del dipinto. Qui c’è tutta l’essenza dell’ossimoro, come compresenza creativa di due realtà contrapposte.
Ma, tornando alla nostra migliore letteratura, spesso l’ossimoro è stato tirato in ballo a proposito di P.P. Pasolini, a partire dalla poetica delle diversità, “quella diversità che mi fece stupendo”, la diversità come sofferenza e come elezione, come causa nello stesso tempo di esclusione e di sopraelevazione, diversità che si fa ossimoro nella propria carne, quando si sente “quella vergine gioia come un sacrilegio..”.
Come esempio si impone un estratto da L’usignolo della chiesa cattolica, dove domina la contaminazione tra il desiderio e il sacro, tra l’incenso e la morte, tra la commozione e la colpa in un gioco di accavallamenti e di blasfeme sorprese.
“amo la mia pazzia di acqua e assenzio
amo il mio giallo viso di ragazzo,
le innocenze che fingo e l’isterismo
che celo nell’eresia o lo scisma
del mio gergo, amo la mia colpa
che quando entrai nel museo degli adulti
era la piega dei calzoni, gli urti
del cuore timido”
(P.P. Pasolini, L’usignolo della chiesa cattolica, Lingua VII, vv 3-10).
Certo, se vogliamo tornare ai classici, ossimori come piovesse, arretrando dal Novecento, con l’immoto andare di Montale (Arsenio, v. 22), m’illumina l’ombra di Ungaretti (Giorno per giorno, v.1) e D’Annunzio con “ le Figure di Neumi elle sono, in questa concordia discorde (Undulna, vv. 41-42), passando da Pascoli, nella bianca oscurità (Notte di neve, v.8), per arrivare al Petrarca, con gli atti suoi soavemente alteri, i dolci sdegni alteramente humili (Canzoniere, XXXVII, vv. 99-100) e il conosciutissimo questo mio viver dolce amaro (Canz., CXXIX, v. 21).
Ma il più celebre e geniale esempio resterà quel certo verso dell’Infinito di Leopardi, dove si ha un particolare tipo di ossimoro dato dalla fusione di due figure morfologicamente diverse e semanticamente contrapposte, nel nostro caso un verbo (naufragar) e un aggettivo (dolce).



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