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Chi è il nemico oggi?

Creato il 04 maggio 2011 da Fabry2010

Chi è il nemico oggi?

Adesso che Bin Laden è morto e il Male ha perso la sua ultima personificazione sono in molti a sostenere che la civiltà occidentale abbia bisogno di trovare un nuovo nemico, e presto.
La Storia insegna che assenza di antagonisti significa inizio del declineo e gli ultimi venti anni (dalla caduta del muro di Berlino in poi) hanno sembrato confermarlo.
Nondimeno, una differente scuola di pensiero sembra sostenere l’esatto contrario (cosa peraltro a sua volta confermata dalla Storia): ovvero che la scomparsa dell’artefice degli attentati dell’11 settembre porterà a un periodo di stabilità e di rinascita – economica in primo luogo – che a sua volta porrà le basi di una nuova Età dell’Oro della tanto provata società occidentale, e più nello specifico americana.
Ovviamente risulta impossibile stabilire chi abbia ragione.
La Storia ha dimostrato tutto e il contrario di tutto. E l’unica certezza che ci è rimasta a riguardo è che anche quando pare ripetersi non lo fa mai nella medesima maniera.
Troppi sono gli elementi determinati dal tempo, le varianti, i condizionamenti del presente, gli aspetti particolari e, soprattutto, il convergere di fattori non sempre (anzi, quasi mai) prevedibili nel loro apparire e nelle loro conseguenze.
Ciononostante è fondamentale fare ipotesi, analizzare fatti, provare a delineare possibili scenari futuri.
La morte di Bin Laden porta un grande sollievo in buona parte del mondo. Le scene di giubilo nelle strade di mezza (se non dire tutta) America sembrano confermare il sospetto che la lunga ombra del nemico imprendibile (e quindi invincibile) fosse ancora ben presente nell’everyday life – nella vita di tutti i giorni – della società statunitense.
Eppure, passate le manifestazioni di felicità e di sollievo non solo americani ma di gran parte del mondo occidentale, passate le sequele di considerazioni, cronografie, rievocazioni, testimonianze, resterà il problema di un’Era confusa e priva di leadership, per capire e per risolvere la quale non basterà fare ricorso alla Storia e a quello che ci ha fino adesso insegnato.
Le categorie di riferimento non sono state capaci di tenere il passo coi tempi, le ideologie appartengono agli anni che le hanno generate, le religioni sono sempre più spesso costrette a fare i conti con le esigenze della società, in tutti i Paesi e in ogni latitudine. Non c’è analista che non concordi su questi punti.
Esistono principalmente due modi per guardare all’epoca in cui si vive.
Uno considera gli eventi e li inserisce in una sorta di presente continuo, nel quale al massimo rientra la visione del secolo precedente e l’ipotesi sugli anni immediatamente successivi.
L’altra, più macroscopica, considera la Storia in grandi epoche, di cui gli eventi sono le anime interne, gli organismi che a lungo termine ne determineranno l’identità.
In questo senso, a mio parere, anche i fatti dell’11 settembre e seguenti (inclusa la morte di Bin Laden) costituiscono accidenti (certo tragici, certo drammatici, certo orribili) di un periodo più macroscopico, e ancora al suo inizio, i cui sviluppi sono difficili da individuare (mancano categorie di riferimento) e i cui risvolti saranno enormi per il futuro della nostra civiltà.
E qui non parlo più della civiltà occidentale. Ma di quella umana.
Se la globalizzazione (delle economie, delle guerre, delle crisi, dell’inquinamento, delle culture, delle malattie, delle problematiche, dei sogni, delle paure…) sta portando in sempre maggiore evidenza un aspetto non più ignorabile della nostra Storia – ovvero il fatto che i Paesi non sono contenitori a tenuta stagna, monadi nelle quali ciò che avviene non ha ripercussioni su ciò che le circonda – i dieci anni successivi all’11 settembre hanno fatto capire che non esiste più un Paese capace di regnare su tutti gli altri.
Gli Stati Uniti, da soli, non possono governare il mondo; idem per Europa, Asia, o qualunque altro dei restanti continenti e/o culture. L’assetto del mondo così com’è risultato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale prima, e dal crollo del Muro di Berlino poi, dovrà presto o tardi essere rivisto. Drasticamente.
All’occidentalizzazione dell’Oriente si affianca una sempre più intensa orientalizzazione dell’Occidente, se il Cristianesimo penetra nel mondo islamico, l’Islam penetra in quello cristiano, nuovi Paesi stanno emergendo, un continente intero ha cominciato a scuotersi e non basteranno i bombardamenti a farlo scuotere a proprio piacimento, lo tsunami in Giappone ha dimostrato come una catastrofe naturale sull’altro lato del mondo possa causare ripercussioni pesanti anche nella vita di chi neppure ci abita. Aumentano i matrimoni multietnici e quelli interreligiosi. La circolazione di merci, di persone e di stili di vita, renderà il Pianeta sempre più piccolo e la necessità di trovare una maniera di convivere sempre più inderogabile. Anche Paesi come Iran o Corea del Nord, di cui spesso si è parlato (e spesso a sproposito), dovranno fare i conti con le esigenze di modernizzazione e di cosiddetta ‘rivendicazione dei diritti’ da parte delle loro società.
Il mondo è in crisi perché non abbiamo più gli strumenti intellettuali, filosofici, tecnologici, religiosi, per far fronte a ciò che stiamo diventando. L’Europa è ancora troppo imbrigliata nelle catastrofi ideologiche che l’hanno quasi distrutta nel secolo scorso, l’America vede l’anima suicida del proprio sistema ma non riesce a individuare alternative, i Paesi emergenti emergono economicamente ma non offrono una soluzione culturale alla crisi dei valori; l’Oriente è più vicino di quanto si creda; l’Africa è il grande interrogativo, il silenzioso – apparentemente ancora per poco – Buco Nero intorno al quale tutti girano senza volerlo mai ammettere.
Se il popolo americano e i suoi alleati oggi celebrano la morte del loro peggior nemico, e le Borse di tutto il mondo accolgono con un plauso la fine di un decennio, il futuro rimane un’incognita tutt’altro che semplice da decifrare.
Chi è il nemico oggi?
Oggi ci sono sette miliardi di persone, quasi duecento Paesi, più di millecinquecento (stimate) differenti culture e sottoculture, centinaia di differenti religioni e/o credi religiosi, un imprecisato numero (nell’ordine delle migliaia) di gruppi etnici e decine e decine di differenti lingue. Il tutto sempre più strettamente a contatto. C’è una tendenza a uniformare le diversità, certo, ma al tempo stesso continuano a crearsi differenziazioni, peculiarità, unicità: come a voler suggerire che il Villaggio Globale non risulterà dall’annientamento delle restanti culture da parte di una, vincente, ma dalla loro interazione e dalla loro capacità di convivenza.
Chi è il nemico oggi?
Per quanti altri nomi potranno saltare fuori (Mahmoud Ahmadinejad e Kim Jong II sono solo alcuni), oggi appare sempre più chiaro che il nemico non è quello che pensiamo, e che in futuro diventerà sempre più difficile anche solamente convincerci della sua esistenza.
Oggi noi siamo il nostro nemico.
Ci siamo noi, oggi.
E ci sono categorie di pensiero (e modi di rapportarsi ai problemi, di pensarli, di agire e di risolverli) sempre più vecchie e superate, che non ancora per molto potranno essere applicate a realtà differenti da quelle che le hanno generate.
Strano a dirsi mentre le bombe cascano su Tripoli e i proiettili fischiano in Siria.
Eppure.
Prima ce ne accorgeremo tutti quanti e meglio sarà.



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