Domenica 10 Febbraio 2013 20:47 Scritto da Martilla
Era un edificio grande e austero, che si stagliava contro le montagne, dando l’idea di un cupo maniero.
In realtà al suo interno le sorelle (la comunità era interamente gestita da donne) erano generose e di buon cuore, e si davano da fare per vivere, e aiutare chiunque ne avesse bisogno. Erano una decina, e ognuna di loro svolgeva una specifica mansione, anche se potevano darsi il cambio.
C’era chi si occupava della cucina, chi teneva in ordine la locanda, chi curava l’orto, chi lavava i panni, chi gestiva il sistema di invio e ricezione delle missive, chi accoglieva i nuovi arrivati.
Le sorelle avevano poi creato un piccolo villaggio annesso alla loro locanda, destinato a sistemare ragazze rimaste orfane o vedove, o prossime al parto e senza aiuti.
Alcune di esse rimanevano per il periodo necessario a ristabilirsi e a trovarsi un’occupazione, solitamente come contadine, dame di compagnia, cameriere.
Alcune imparavano a cucire, cucinare, e diventavano ricamatrici o cuoche.
Altre, in grado di leggere e scrivere, frequentavano una piccola scuola monastica, e venivano poi assunte presso ricche famiglie per seguire i piccoli eredi come governanti. Altre ancora, le più fortunate, venivano date in spose a mercanti, cavalieri, o giovani di alto lignaggio e riuscivano a diventare castellane.
Diverse ragazze, invece, decidevano di restare definitivamente in comunità e darsi a loro volta da fare per aiutare i nuovi e le nuove arrivate.
La comunità era organizzata in modo eccellente. Le sorelle provvedevano autonomamente al sostentamento di tutti, coltivavano ortaggi e avevano assunto alcuni cacciatori che procurassero periodicamente lepri, fagiani, cinghiali e caprioli. La carne veniva fatta seccare assieme al lardo e conservata con erbe aromatiche, e cucinata in brodo di rape e cavoli, a volte con funghi e tutti i prodotti dell’orto.
La comunità, inoltre, aveva piantato a valle alcuni alberi da frutto, e un contadino andava su a portare mele in grandi quantità.
Un pastore, che in precedenza era stato accolto presso la comunità, si era affezionato a Henriette e a Frieda e forniva loro uova, latte, cacio.
Novembre portò una tempesta di neve, e una sera qualcuno bussò pesantemente al portone della locanda.
Gudrun, una delle sorelle, andò ad aprire, e un gruppo di uomini intabarrati in scuri pastrani, e quasi completamente coperti di neve, si trascinò dentro.
Inge e Brigitte condussero gli uomini davanti all’enorme camino, per scaldarsi, e si affrettarono a levare i pastrani bagnati. Gertrude portò alcune coperte calde, mentre Ulla e Jutta servirono bicchieri di peltro colmi di sidro bollente, e alcuni piatti di cacio e salsiccia passita.
- Ora ditemi, signori- domandò Frieda- cosa vi conduce in giro con questa tormenta? Dove vi stavate recando?-.
- Sono apprendista scrivano-, rispose un ragazzo che non doveva avere più di quindici o sedici anni- sto andando al castello di un ricco signore per copiare certe poesie, assieme al mio compagno Wolle- indicò un altro ragazzo altrettanto giovane, avvolto in una coperta e intento a sorseggiare il sidro fumante.
- Noi siamo carbonai- intervenne un signore anziano indicando altri due uomini della stessa età- dovevamo vendere un carico di carbone, ma il carro si è rovesciato e i nostri cavalli sono fuggiti- disse tutto d’un fiato, con voce rotta dallo sgomento.
- Non dovete preoccuparvi- li rassicurò Henriette- siete nostri ospiti e potete fermarvi quanto volete. Avrete abiti puliti, vitto e alloggio. Per il carbone e i cavalli vedremo cosa fare, non appena la nevicata accenni a diminuire. Abbiamo numerose conoscenze nei dintorni, troveremo il modo di aiutarvi. Domani manderemo un paio di messaggeri ad avvertire del vostro ritardo-.
Gli uomini parvero rincuorati dalle parole di Henriette, e seguirono Whilelhmina che preparò loro le stanze.
Pochi minuti dopo bussarono di nuovo al portone, Gudrun e Brigitte corsero ad aprire.
Un uomo dall’aria esausta entrò assieme a quelli che dovevano essere moglie e figli. Dietro di loro, un anziano signore e una ragazza molto giovane, forse appena quindicenne.
Gertrude fece accomodare tutti quanti. Ulla e Jutta servirono sidro caldo, pane e cacio in abbondanza.
L’uomo e la donna si rivelarono essere un contadino e una levatrice, con i loro due figli, cercavano rifugio per la notte. L’anziano signore era il tutore della giovane fanciulla, si stavano recando assieme ai loro scudieri presso il castello del conte che la fanciulla avrebbe sposato (a giudicare dall’espressione, però, non sembrava convinta).
Le sorelle della comunità si adoperarono per preparare soffici e caldi letti per tutti gli ospiti.
- se non ci sono abbastanza letti- dispose Frieda- ricaveremo alcuni giacigli dal fienile e dal solaio. Sorelle, portate lenzuola e coperte di pelliccia, e candele, per favore. E alcune scodelle con acqua calda per i nuovi arrivati-.
Ormai la locanda era al completo. Arrivarono nuovi malcapitati, bloccati e smarriti dall’incessabile tormenta di neve. Furono ospitati dalle giovani ragazze del villaggio annesso alla locanda.
L’indomani mattina si verificò un episodio alquanto curioso. La tormenta era cessata, e tutto era coperto da uno spesso e soffice manto di neve.
Le sorelle e gli ospiti erano seduti alla grande tavola della locanda e stavano consumando una sostanziosa colazione a base di pane, lardo e vino caldo, quando si sentì bussare energicamente al portone.
Adella, una delle sorelle più giovani, andò ad aprire immaginando di trovarsi davanti l’ennesimo disperso. Invece un signorotto di mezza età la squadrò dall’alto in basso con fare altezzoso. Portava un lungo pastrano bordato d’oro e un copricapo di porpora.
- Buongiorno, madamigella, sono il marchese Heinrich Franz Karl Ludwig Oederschifter della nobile casata della Spiga di Lussemburgo. Sono diretto al castello del mio sodale conte Ulrich Olaf Gerard Francis Rufus Van der Vaart della nobile casata del Porco Blu delle Fiandre. Disgraziatamente, a causa dell’ignominiosa tormenta di neve, le mie devote guardie e il mio sontuoso destriero si sono smarriti e io sono rimasto tutto solo all’addiaccio. Faccio appello al vostro buon cuore e alla vostra gentilezza per avere un po’ di tregua e un po’ di ristoro presso il vostro spero accogliente ed elegante albergo-.
- Questo non è un albergo, signor marchese. È una comunità sorta spontaneamente dalla solidarietà di noi sorelle, e cresciuta sul perseverare di questa stessa solidarietà. Vi sarà sicuramente riservata un’accoglienza calorosa, quanto all’eleganza, beh… Più che altro la nostra locanda è funzionale..-.
- Oh, beh, vedrò di adattarmi, ecco, spero di essere trattato con l’adeguata deferenza..-.
Il marchese si fece avanti con sussiego e baldanza, ma non appena dentro arricciò il naso e assunse un’espressione infastidita- Non è proprio ciò che mi aspettavo..- commentò con affettazione.
- Posso avere l’onore di conoscere il nostro ospite?- intervenne sospettosa Henriette. Aiutò il marchese a togliersi il pastrano. Gli ospiti seduti a tavola scrutarono con attenzione la figura del nobile. Era riccamente abbigliato. Veste di broccato, calzature eleganti e di stoffa finissima, uno smeraldo al mignolo sinistro.
Le sorelle rimasero di stucco. Raramente avevano l’occasione di vedere siffatta raffinatezza.
- Beh, allora, non state lì impalate, Brigitte, Ulla, servite un’abbondante colazione al signor marchese!- Subito le due ragazze arrivarono con la tazza di vino caldo, il pane e il lardo.
- Oh no, no, no, per carità, per carità! Il mio delicato stomaco a stento riesce a reggere l’odore del lardo di prima mattina, figuriamoci se riuscirei a cibarmene! Non sarebbe possibile, invece, un uovo alla coque con un po’ di questo liquore finissimo e sofisticatissimo che io stesso ho portato? È un prezioso prodotto delle mie vigne.. -.
- Siamo desolate, signor marchese, ma non sono rimaste molte uova, con tutti i viandanti che abbiamo ricevuto ultimamente.. Le poche uova che abbiamo preferiremmo utilizzarle per preparare un ricostituente per le ragazze del villaggio che hanno partorito da poco. Vede, con questo freddo sono così deboli..-.
- Oh, Santi Numi, cosa mi tocca sentire! In tal caso dovrò rivolgermi al vostro fattore e farmene portare un po’!-.
- Ehm, veramente non abbiamo un fattore… Ci sarebbe un pastore, ma vive a valle e non riuscirebbe mai ad arrivare qui prima di stasera….-.
- Oh, Santa Vergine, allora mi adatterò. Un po’ di latte caldo pastorizzato, magari, con qualche fetta di pane….-.
Fu subito servito del latte caldo in un bicchiere di peltro, con tre fette di pane.
- Cosa vedono le mie fosche pupille, del peltro!- esclamò disgustato il marchese- e dove sono le porcellane?-.
- Po.. po.. Porcellane, dice? Mai viste-.
Il marchese finse teatralmente uno svenimento, due dei carbonai lo afferrarono e lo fecero sedere accanto al focolare.
- Come mi sento debole, sto forse per morire? La mia anima sta per esalare l’ultimo respiro… Oh, almeno vorrei essere degno di spirare su un morbido materasso, tra cuscini di piume d’oca, con un drappo funebre in sintonia con la mia dignità…..-.
Adella si lasciò sfuggire una risatina. Frieda la fulminò con lo sguardo.
- Mi permetta di dissentire, signor marchese- Henriette gli parlò all’orecchio, cinguettando melensa- lei sta benissimo, ha solo bisogno di un po’ di riposo….-.
- Lei dice?-, continuò la messinscena.
- Sissì, dico, dico…E adesso, ragazze, diamogli una bella lezione- disse Henriette alle sorelle senza farsi sentire dal marchese- portatelo nella stalla!-.
Le sorelle obbedirono, assistite da alcuni carbonai forzuti. Il marchese fu adagiato in stato di teatrale semi-incoscienza su un morbido giaciglio di paglia, tra le mangiatoie dei cavalli.
Scrosciò un applauso.
- Oh no, no, no! È forse questa l’accoglienza riservata a un nobiluomo della mia schiatta?
È proprio vero che chi tardi arriva male alloggia………- e crollò addormentato, come un frutto maturo.
-Be’, più che altro direi… Chi si contenta gode!-,
concluse Henriette, risoluta.