La battaglia di una ragazza ipovedente e con difficoltà motorie per accedere alla specializzazione universitaria dopo aver conseguito la laurea triennale. Da Milano a Catanzaro, i muri che la burocrazia universitaria ha alzato per impedirle di esercitare un suo diritto
Ha gli occhi puliti e mobili, Chiara Ursino. Non possono sfuggirti anche se gli occhiali spessi, che cercano di rendere meno terribile la sua condizione di ipovedente, li coprono con inclemenza. È lucida, Chiara, mentre denuncia alle telecamere del TgR Calabria quello che ha già scritto sul blog di Giuseppe Certomà. Così lucida, così cosciente di ciò che dovrebbe essere un suo diritto, il diritto all’istruzione che le viene costantemente negato, da far sparire ogni dettaglio sulle sue disabilità. Ipovedente, con disabilità motorie, Chiara è «un essere umano, a cui è stata donata la vita, come tanti altri», così scrive di sé. E questo vedi attraverso lo schermo televisivo. Questo ti restituiscono le sue parole mentre rilascia la propria intervista a Pietro Melia. Umanità. Umanità profonda, assoluta.
Vai a cercare la sua denuncia. Chiara vive a Roccella Jonica (Rc) ed ha conseguito una laurea triennale in Educatore Professionale, Facoltà di Medicina dell’Università di Catanzaro. Una laurea triennale non le basta.
Vuole andare avanti, vuole la laurea magistrale. È l’autunno 2011. Chi ha detto che volere è potere? Cogli rassegnazione, tra le righe del suo calvario per sostenere il primo esame del corso di laurea in “Scienze cognitive e processi decisionali”, Università statale di Milano, “Psicologia cognitiva”. Rassegnazione che passa in giudicato con la scelta di abbandonare l’università dopo il tentativo di sostenere il secondo esame, “Psicologia Sociale”. E dire che da docenti di psicologia ci si aspetterebbe qualcosa in più della forma e del rispetto delle regole.
Segui, ami la sua perseveranza quando rivela il tentativo di riprovare in una nuova facoltà, quest’anno. Università “Magna Grecia” di Catanzaro «per questioni di vicinanza e anche perché la salute, ahimè, non è delle migliori. Il corso scelto è una Laura Magistrale in “Scienze e Servizi della Pubblica Amministrazione”. I posti disponibili erano 120. Ho pensato tra me e me: ”Ce la posso fare!”». Ma la sua caparbietà sbatte contro il secondo muro: «mi ritrovo ad essere esclusa dalla possibilità di specializzarmi solo per una questione burocratica, per mancanza di chiarezza e precisione».
Non sono il rettore, magnifico, né dell’università di Catanzaro, né di altre università. Ma se lo fossi iscriverei Chiara di diritto, le darei un ruolo di rilievo perché Chiara è docente, prima che studente. Perché Chiara insegna a ciascuno di noi una verità assoluta e incontrovertibile: siamo noi i veri disabili. Noi ciechi, che non vediamo e non vogliamo vedere le ingiustizie, tutte le ingiustizie, ma soprattutto quelle perpetrate a danno di chi dovrebbe essere sostenuto, e non gettato dalla rupe Tarpea. Noi sordi, perché non ascoltiamo chi ci chiede in ogni modo solo, e semplicemente, di poter esercitare un proprio diritto. Noi muti, perché ascoltiamo la vicenda di Chiara come ne ascoltiamo tante altre, tra un boccone e l’altro, per digerirlo subito ed espellerlo, senza averne alcun nutrimento, alcun insegnamento.
Una volta avrei parlato di indignazione. Ora non posso parlare d’altro che di colpa.
Se è possibile, Chiara, perdonaci per le nostre disabilità. Tu sopporti la tua, in silenzio e con il sorriso sulle labbra, hai imparato a conviverci. Cerchi di fare una vita normale, secondo le tue attitudini e le tue aspirazioni. Invece ti scontri con il muro di gomma di chi vorrebbe farti credere che la tua colpa sia proprio quella di non renderti conto che dovresti rinunciare, farti da parte, non forzare i meccanismi di un sistema ariano che pur riesce a sovvertire ogni regola, se ne ha convenienza. Comprendere e cercare di alleviare i limiti della tua disabilità non conviene a nessuno, purtroppo per te. Devi farti da parte, Chiara: noi dobbiamo badare alle nostre, di disabilità. Sono quelle che ci costruiamo ogni giorno, imparando a essere sempre più ciechi, sempre più sordi, sempre più muti. Sempre più disumani. Siamo sulla buona strada, non preoccuparti. E se da qualche parte in questo belpaese non esiste un magnifico rettore in grado di ritrovare la propria umanità prima che la propria universitaria magnificenza, allora credimi: siamo noi che abbiamo perso, non tu.
Noi che abbiamo perso la possibilità di immettere una persona come te nel mondo professionale. Noi che abbiamo perso quel poco di umanità che ancora pensiamo ci sia rimasta appiccicata addosso. Noi, i veri disabili di una storia che non dovrebbe mai essere raccontata, perché non dovrebbe esistere, in una società che voglia definirsi civile. [sciroccoNEWS]
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