… un calcio devastante aveva sfondato la porta, uno dei tre fratelli aveva strappato letteralmente dalle braccia di Filippo la giovane Mariuccia trascinandola di peso fuori dalla stanza mentre gli altri due fratelli dei cinque in totale che componevano il clan familiare lo pestavano a sangue. La cosa che più lo colpiva in tutto quel trambusto era il rumore sordo dei pugni che andavano a bersaglio sul suo corpo e sulla sua faccia, ciò per qualche attimo gli aveva creato uno strano stato di anestesia mentale che non gli faceva sentire il dolore dei colpi infertogli. Quando la paura toccò la punta massima della sua sopportazione si svegliò improvvisamente madido di sudore, in preda ad uno stato di tremori incontrollabili, con il respiro affannoso ed ebbe la sensazione di tornare in superficie da un mondo sotterraneo e malvagio dove non aveva scelto di andare mentre Mariuccia tenendolo abbracciato teneramente gli sussurrava è stato un sogno amore mio, solo un brutto sogno, cerca di calmarti e di non pensarci che adesso passa tutto. Era iniziato tutto tre giorni prima, quando con la complicità di Carmine il fratello più buono e comprensivo di Mariuccia erano riusciti a prendere quel treno che li aveva condotti a Parigi per coronare il loro sogno d’amore tormentato e osteggiato con vigore dal clan familiare di Mariuccia. Sia il padre sia i cinque fratelli non avevano nulla contro Filippo che in fondo era un bravo ragazzo, i loro dissapori nascevano però da una vecchia faida tra i nonni dei due ragazzi legata ad un passaggio agricolo tra due fondi coltivati a vigneti, in pratica tutti e due i nonni rivendicavano la proprietà di questa stradina di campagna che conduceva a entrambi i vigneti e poi c’era anche un altro motivo che non avrebbero mai confessato che era legato sia alla gelosia per la propria figlia e sorella e sia al fatto che Mariuccia doveva restare in casa per aiutare la mamma a fare da domestica fin quando loro di comune accordo avrebbero deciso che era il momento di prendere marito. Carmine li aveva lasciati fuori dalla stazione ed era corso via subito per tornare al suo lavoro, questo gli avrebbe garantito l’alibi per non incorrere nell’ira dei suoi parenti. Erano saliti sul treno senza guardarsi indietro, di lì a pochi minuti sarebbe partito il treno per Parigi Bercy, espletarono con il controllore i dettagli relativi ai documenti per i vari passaggi di frontiera e si chiusero nella loro cuccetta, erano impauriti ed eccitati nello stesso tempo, sentirono il fischio del capo treno che avvisava il macchinista di partire e trattenendo il respiro videro dal finestrino gli oggetti della stazione che si muovevano, ciò significava che il treno stava partendo. Si guardavano senza parlare, era certo che avevano tante cose da dirsi ma non lo fecero, stavano prendendo coscienza che la fuitina era iniziata e che d’ora in poi nulla sarebbe stato più come prima. Passarono così diverse ore, il treno sfrecciava verso un mondo a loro sconosciuto, sul confine Italia Svizzera trovarono la neve, l’avevano vista raramente nella loro giovane esistenza e ipnotizzati da quello spettacolo fatto di montagne e neve si tenevano abbracciati stretti stretti. Si addormentarono per qualche ora fino a quando sentirono il treno fermarsi e gli annunci della stazione erano in una lingua che loro non conoscevano. Siamo a Parigi sussurrò Filippo mentre lei si stropicciava gli occhi dolci e impauriti che aveva preso dalla mamma. Sul binario un vecchio facchino gli chiese in Italiano se avevano bisogno di aiuto, e senza attendere una risposta gli porse un biglietto di un albergo dicendogli che era a buon mercato e che i titolari parlavano bene l’italiano e di specificare che erano amici di Antonio l’italiano. Impiegarono parecchio tempo a capire quale metropolitana prendere e alla fine con l’aiuto di molte persone riuscirono ad arrivare all’albergo nella zona della Sorbona, usciti dalla metropolitana rimasero affascinati dallo spettacolo che si trovarono di fronte agli occhi, sembravano due cuccioli alla scoperta del mondo fuori dal giardino di casa. Lasciarono i bagagli in albergo e camminarono tutto il giorno senza meta, avevano voglia di riempirsi gli occhi e la mente di tutte quelle cose belle che una grande metropoli ha da offrire, camminavano mano nella mano, parlavano poco, si guardavano molto, si sorridevano e si divertivano a guardare l’espressione felice dell’uno e dell’altra. Tornarono in camera sfatti dalla stanchezza e Mariuccia chiese a Filippo se avrebbe potuto sposarsi con l’abito bianco dopo la fuitina, non ebbe risposta perché lui era già crollato in un sonno beato e profondo. L’indomani camminarono come il giorno prima senza meta, senza mai affrontare i discorsi sul rientro nel loro paesino e senza minimamente pensare a come li avrebbero accolti fino a sera tarda. Rientrarono nella camera dell’ albergo, lasciando il mondo fuori dalla porta. Vissero finalmente il loro amore nell’espressione massima del termine e, felici e spossati si addormentarono…
Chitarrine con pancetta e porro
Ingredienti per 2 persone:
300 gr di spaghetti chitarra
1 gambo i porro grandezza media
100 gr di pancetta affumicata
Olio
Pepe verde
Sale
Preparazione:
In una padella capiente cuocere senza aggiunta di altri grassi la pancetta tagliata a cubetti tale da farla sgrassare e diventare croccante. Dopo una decina di minuti aggiungere il porro tagliato a rondelle non troppo sottili e mezzo bicchiere di acqua e lasciar stufare il tutto per una decina di minuti. Cuocere le chitarrine e non appena pronte, scolarle e versarle nella padella con qualche mestolo di acqua di cottura, per mantenerle umide. Saltare per un minuto e impiattare. Servire con una manciata generosa di pepe verde.
Vino: con questo piatto nei calici verserei Vesuvio Lacryma Christi.
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