Che a me poi spiace fare quello a cui non va mai bene niente perché è un po’ da quei presuntuosi per di più ignoranti il cui voto, come se non bastasse, vale tanto quanto il mio. Specialmente di fronte a mia figlia, perché il messaggio che passa è quello che nella vita bisogna essere stronzi dentro e che bisogna diventare così perché i propri riferimenti lo sono, e spero vivamente che lei non lo diventi. Come quella famiglia di incontentabili guidata da Giampiero Albertini che ingrugnita come pochi girava tutti i negozi del centro alla ricerca del prodotto giusto. Ma io giuro che ci provo e continuo a dare occasioni al cinema italiano, anche quello più disimpegnato e che ti può far trascorrere una serata senza pretese al cinema parrocchiale, dove puoi andare tutti insieme a piedi tenendosi per mano, dove non c’è il pubblico del multisala, dove con quattordici euro entri in tre anziché in uno solo, come mi è successo per “Vita di Pi” in 3D la domenica pomeriggio che dopo la mazzata che ho preso prometto non che lo faccio mai più. Insomma il film è “Ci vuole un gran fisico” che ha un messaggio davvero encomiabile, con Angela Finocchiaro alle prese con i 50 anni, dai trailer passati in tv poteva essere una cosa da vedere in famiglia e farsi due timide risate senza gli effetti speciali e i disegni animati. Invece niente. Alla fine mia figlia mi ha chiesto se mi era piaciuto ma non me la sono sentita di spiegarle il motivo. E non che mi aspettassi chissà che, nè. Ma ci sono tutti quegli ingredienti così italiani che proprio fanno capire che in settori come il cinema o la musica, per noi, non c’è speranza. In più gli attori che altro non dovrebbero fare, in un film così, che essere sé stessi, nemmeno ci riescono. Sì, lo so. Il budget, gli studi teatrali, gli sceneggiatori, le inflessioni dialettali nei dialoghi e bla bla bla. Ma allora risparmiamoli, sti soldi. Ecco: l’unica parte che si salva la interpreta questo qui sotto, seppure in playback.
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