Nudissime le tombe imperiali: muri bianchi, vasi cerimoniali, altari; poi una piattaforma su cui si collocano i cubi di marmo purpureo dell’imperatore Wanli e di due imperatrici; lateralmente ai corridoi di accesso, due passaggi conducono a due sale dove una grande piattaforma pare attendere altre tombe; ma furono trovate deserte, sempre disponibili alla morte. e ancora se ne ignora la ragione.
«E il Palazzo d’Estate? Non ha forse visto quella deliziosa cineseria?». «Oh il lago, i corridoi di legno dipinto, la pagoda a sette tetti, il Palazzo delle Nuvole… quale perfettissima cineseria! Vi ha lavorato perfino un gesuita. Ma, veramente, certe oloturie, pingui e viscide, dalla digestione travagliata e pensosa, hanno oscurato, se non eclissato, l’elegantissima felicità di quel lago insieme cinese e settecentesco. Ancora lo rimpiango. Luogo assurdo e imperiale. Solo l’acqua del lago era vera».
Qual è l’atteggiamento dei cinesi di fronte a queste opere, e davanti ai documenti del loro passato? Ora, l’archeologia gode di singolari fortune, e ha fatto e fa straordinarie scoperte. Non mi sembra vi sia nazionalismo in questa ripresa di studi dell’antico. Il proposito esplicito è quello di ricostruire la storia della società cinese. Comunque, le fortune dell’archeologia singolarmente si contrappongono a quella che pare l’assenza della letteratura classica. Davanti ai gioielli di una civiltà di suprema sapienza, l’ammirazione si mescola alla cautela: questa bellezza è nata dalla sofferenza degli umili; insieme, si avverte un progetto di conquista e di espropriazione del passato; questi capolavori furono sempre e solo i capolavori degli umili, degli ignoti, degli anonimi morti.
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Cina e altri Orienti è una guida di viaggio e un’avventura vorticosa e frenetica verso la perfezione della forma.
Per Giorgio Manganelli ogni viaggio è un simbolo, una sorta di iniziazione. Quando l’aereo scende nel Catai, atterra a Shanghai e tocca il suolo della Cina qualcosa cambia. E’ un cambiamento che ti segue per il resto del viaggio perché si entra in un’aria che ha un ritmo diverso, è più lenta, distaccata, sommessa. “Il confuso ciarpame umano viene riabilitato, a ciascuno di noi viene assegnata una quota d’aria, di spazio, di silenzio.”
A Pechino si è avvolti nella grande vestaglia d’Oriente e ci si sente affascinati, sedotti, rapiti, estasiati. E’ una città di pochi colori, e “se qualcuno ha in mente una città taciturna e spaziosa, amplissima, popolosa e tuttavia quasi dovunque radamente abitata, nella quale le voci umane si perdono, costui certamente immagina Pechino”.
Manganelli coglie, col suo spirito sottile, lo “stile cinese”, va a curiosare tra i barbieri di Taipei, si innamora della Malesia per puro caso e va a trovare un bizzarro libraio di Karachi. Viaggiando spera di ritrovare se stesso… Perché “è da supporre che viaggiare risponda ad un impulso oscuro e magico dell’uomo, qualcosa che egli non sa contrastare.”
Giorgio Manganelli, Cina e altri Orienti, Adelphi, 2013.