Italia, terra di facile conquista anche per le produzioni
Le rinnovabili sono, per il Governo cinese, un antidoto per prevenire la crisi energetica nazionale e una cura per sconfiggere l’inquinamento atmosferico causato principalmente dalla produzione di carbone che, in Cina, rappresenta ancora il 70% del consumo di energia primaria.
Un percorso di riconversione industriale iniziato 10 anni fa che oggi vede ai primissimi posti delle classifiche mondiali i produttori cinesi e che avrà, come risultato finale, il raggiungimento del 15% di produzione energetica da fonte rinnovabile.
Due compagnie cinese, Sinovel e Xinjiang Goldwind sono tra i primi tre produttori di turbine eoliche a livello mondiale per capacità installata. Prima di loro, solo la danese Vestas.
Sul fronte del solare, sette dei dieci primi produttori mondiali sono cinesi tra cui LDK Solar, Suntech Power, Trina Solar e Yingli. Primati internazionali che hanno portato nelle top ten degli uomini più ricchi del mondo anche alcuni amministratore delegati delle rinnovabili made in China.
Con oltre 42.287 GW eolici installati nel 2010, la Cina batte gli Stati Uniti che, nello stesso anno, ha installato 37.889 GW. Uno scarto di oltre il 10% che ha visto il Governo cinese recuperare sul tempo perduto in meno di 9 anni: nel 2001 gli americani già installavano fattorie del vento per 3864 GW, i cinesi solo 402 GW. Supremazia indiscussa anche quando si parla di produzione da fonti rinnovabili sul totale installato nel mondo. Pechino ha oggi una capacità produttiva quasi il doppio di quella americana e di quella tedesca. 103 GW cinesi, rispetto a 58GW americani, 49GW tedeschi, 26GW giapponesi,18,7GW indiani, 7,5GW inglesi e 14GW brasiliani.
Uno schieramento di forze a cui i principali mercati internazionali stanno rispondendo con diversi provvedimenti per non soccombere di fronte all’avanzata inesorabile dei cinesi, il cui cavallo di troia, sono ancora una volta i prezzi. Prezzi inferiori del 30% che, insieme a una politica di acquisizioni sul territorio in quei paesi dove l’energia pulita è incentivata dallo Stato, ne fanno gli indiscussi vincitori della partita rinnovabile. Apparentemente in Italia ciò non sarebbe possibile ma come sempre, fatta la legge, trovato l’inganno.
Secondo la notizia riportata dall’edizione italiana di Photon il 18 novembre scorso, l’azienda cinese Rich Solar Technology Co. Limited è la prima azienda extraeuropea ad aver acquisito una linea di produzione per poter accedere al premio del 10 per cento sugli incentivi per impianti installati con almeno il 60 per cento di componenti prodotti nello Spazio Economico Europeo (SEE). L’azienda ha presentato alla fiera di Milano Enersolar i moduli effettivamente prodotti in Italia. Due mesi fa, infatti, Rich Solar ha acquisito l’azienda siciliana SDL energy Srl, con sede a Ragusa, la cui linea di produzione ha una capacità di 20 megawatt.
La notizia ha scatenato le ben note polemiche legate al premio del 10%, l’incentivo che viene dato alle imprese che producono i loro prodotti in Europa, ma l’avanzata cinese verso i mercati mondiali delle rinnovabili e, del solare, va ben oltre un semplice 10% di premio concesso in Italia. Il Governo degli Stati Uniti ha dichiarato guerra ai produttori cinesi di pannelli solari accusati di essere i responsabili della crisi del settore (ad esempio il fallimento del gigante statale Solyndra) per le politiche di dumping.
La storia della globalizzazione insegna che le economie dove si realizzano elevati fatturati nelle esportazioni sono più o meno “costrette” a realizzare impianti industriali nei principali mercati di esportazione. Un esempio in tal senso, negli anni ’80, sono state le fabbriche di assemblaggio – o fabbriche cacciaviti – di vetture giapponesi in USA e in UK, uno dei compromessi voluti dai Governi per permettere ai costruttori di vendere in tali mercati. Una parte del valore aggiunto, fino ad allora prodotto solo in Giappone, veniva ceduto alle economie nazionali.
Estendere la produzione in Italia oggi è quindi due volte più conveniente per i cinesi: come investitori e come produttori. I grandi fondi di investimento hanno già concluso al meglio i loro “deal” grazie ai ricchi incentivi; i produttori si stanno affermando in questi mesi e la crisi delle aziende del settore ne è un segno sintomatico che va ben al di là della situazione finanziaria, del credit crunch e della discesa dei prezzi.
Gli operai italiani del settore potranno produrre ed essere occupati sul suolo italiano solo fino a quando la produzione non verrà spostata in paesi dove i Governi promuovono nuove politiche di incentivi con un prezzo della manodopera più bassa. In Italia il costo del lavoro è nove volte più alto di quello asiatico e la sfida alla Cina non potrà mai essere vinta.