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Combattente del diritto

Creato il 05 novembre 2010 da Gadilu

Combattente del diritto

Il commento di F. Palermo, sull’Alto Adige di oggi, che espone con un altro stile il contenuto del mio.

di Francesco Palermo

Capita spesso che i destini indissolubilmente intrecciati di due persone si incrocino anche nell’ultimo passo. La scomparsa di Alfons Benedikter pochi mesi dopo la morte di Magnago fornisce una rappresentazione fortemente simbolica ed evocativa della consegna alla storia della prima fase dell’autonomia, con l’uscita di scena quasi contemporanea dei suoi due artefici principali: il politico e il giurista.

In questi tempi di confusione di ruoli, la cristallina divisione di funzioni tra il politico Magnago e il giurista Benedikter è esemplare. Accomunati da un ideale politico (la linea dura, l’autonomia etnica, la diffidenza verso l’Italia e verso gli italiani, un concetto ottocentesco di popolo e di nazione), non scalfito nemmeno dalla posizione diversa sul Pacchetto (favorevole Magnago, contrario Benedikter), insieme hanno costruito l’autonomia che ancora oggi ci governa, con i suoi (molti) pregi e (alcuni) difetti. E lo hanno fatto attraverso una perfetta divisione dei ruoli: motore politico l’uno, mente giuridica l’altro. Dimostrando ai posteri che il diritto, per essere efficace, richiede obiettivi chiari che possono venire solo da una politica coerente e con forti ideali, e che la politica, se non fondata su granitiche basi giuridiche, diventa arbitrio del potere.

Le posizioni radicali di Benedikter, pur tatticamente utili alla costruzione dell’autonomia, lo collocano strategicamente nel versante perdente della storia. La sua visione della purezza etnica e dei territori omogenei è travolta dalla realtà della globalizzazione, dell’ibridazione e delle identità multiple. E il suo obiettivo dell’autodeterminazione, di cui l’autonomia sarebbe dovuta essere (quasi à la Lenin) soltanto una tappa necessaria ma intermedia, è vanificato dall’integrazione europea e dalla porosità dei confini.

Per contro, il suo rigore di giurista lo rende un gigante del metodo di governo. Sulle scelte sarà la storia a giudicare, ma sul metodo il giudizio è inconfutabile. Preparatissimo, puntiglioso, controllava minuziosamente le virgole di ogni disposizione. E quando arrivava a Roma per negoziarle, travolgeva con la sua pignola competenza i faciloni funzionari ministeriali, ottenendo tutto ciò che con il politico Magnago aveva concordato e talvolta persino di più. Ci voleva un giurista di ferro per costruire un’autonomia di ferro, e Benedikter ha svolto quel ruolo alla perfezione. Suo è il merito del pregio principale dell’autonomia: essere fondata sul diritto. La iper-normativizzazione dell’autonomia ne garantisce tutti gli aspetti e – cosa ancor più importante – tutti gli attori. Ogni diritto individuale o di gruppo è dettagliatamente disciplinato e proceduralmente garantito, e tutti sanno che esiste un rimedio contro la sua violazione. Solo così è stato possibile costruire la fiducia tra i gruppi e tra i livelli di governo indispensabile al funzionamento dell’autonomia, in una fase in cui tale fiducia mancava, in primis nello stesso Benedikter. Che con intelligenza ha saputo fare del diritto il cemento dell’autonomia e della convivenza. Anche se per lui queste erano solo passaggi necessari verso un obiettivo più lontano e, nella sua mente, più nobile.

La morte gli risparmierà il dispiacere più grande. Non solo e non tanto vedere allontanarsi il sogno di un Sudtirolo hoferiano – omogeneo, reazionario e contadino – ma soprattutto osservare la sua maestosa opera di ingegneria giuridica perdere smalto per carenza di manutenzione. Lo statuto non viene riformato e il suo contenuto si allontana dalla realtà, rendendolo meno prescrittivo. Il Consiglio provinciale, il parlamento regionale più autonomo d’Italia, produce pochissime leggi nonostante le moltissime competenze. Le commissioni paritetiche, l’organo forse più importante dell’intero impianto autonomistico, sono sostanzialmente paralizzate e inattive. Nell’amministrazione non dominano più i giuristi ma i (presunti) manager, le “regole” sono viste come impacci burocratici e si intorbidano le responsabilità amministrative e politiche.

Certo, il mondo di oggi è molto diverso da quello di Benedikter. E un ritorno ai suoi tempi non è né realistico né probabilmente auspicabile. Ma è opportuno che la sua scomparsa spinga a riscoprire gli elementi più preziosi della sua eredità.



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