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Come abbiamo potuto permetterlo?

Creato il 27 luglio 2012 da Freeskipper
Come abbiamo potuto permetterlo?di Maria Pia Caporuscio. Sono le quattro del mattino e dalla terrazza osservo la mia città dormire. La frescura dell’alba mi consola dal caldo soffocante di una notte insonne. Dorme Roma cullata dal fruscio dell’acqua della fontana del Bernini, mentre le canta piano una ninna nanna. Le strade deserte e i tetti rischiarati dal chiarore lunare, sono una gioia per gli occhi. E’ bella la mia città e nella notte mi appare innocente come mai, abbandonata e indifesa come un bambino. Mi gusto il profumo dei gelsomini che abbelliscono la mia terrazza quando avverto improvvisa, un’accorata malinconia: laggiù vicino alla fontana un uomo cerca riposo sul bordo. Mi chiedo chi sia: un barbone? Un mendicante? Un extracomunitario? Un senza tetto? Provo il desiderio di raggiungerlo, di offrirgli un caffè, di conoscere il suo nome, di guardare dentro i suoi occhi e senza riflettere prendo il bricco del caffè, lo verso in una tazzina e dopo aver richiuso piano la porta, lo raggiungo. Nel sentire i miei passi l’uomo si volta e appena mi vede si alza di scatto: “Oh Dio! Sei un Angelo?”. La sorpresa è reciproca non si tratta di un vecchietto, ma di un giovane uomo. Gli sorrido mentre gli offro il caffè: “No! Sono solo una donna”. Osservo le sue mani scarne mentre prende la tazza e sorseggia con evidente piacere il caffè ancora caldo. Dopo averlo bevuto si avvicina alla fontana e dopo aver risciacquato la tazzina me la restituisce, accennando un debole sorriso, prima di sedersi accanto a me, sul bordo della fontana. Mi osserva in silenzio, quasi a volermi studiare: “Chi sei?”, mi chiede. D’un tratto, nella sua voce si percepisce una forte curiosità. “Ti ho visto dalla terrazza, credevo fossi un vecchietto”. Sorrido, lui non ricambia il sorriso. “Non puoi essere di questo mondo, qui non conosco persone come te”. Mi fa lui. Rido forte questa volta nel notare quasi smarrimento nei suoi occhi, poi osservandolo meglio, il riso si tace. Sono tristi i suoi occhi, terribilmente, maledettamente tristi: “Sei venuta a prendermi? Sai che non voglio più restare qui?”. “Sono venuta a portarti un caffè”. Rispondo mentre un brivido mi percorre la schiena, quando dalla tasca tira fuori una pistola. “Voglio morire qui dinanzi alla fontana del Tritone". Dice con voce amara. "In fondo sono un 'tritone' anch’io che solo di sfuggita ha guardato la vita. Ho visto vivere gli altri, li ho visti ingoiarsi i frutti del mio lavoro, li ho visti arricchirsi col mio sudore finché non mi hanno tolto tutto, rendendomi uno schiavo. Mi hanno costretto a vendere la casa, l’azienda, che da mio nonno a me aveva dato da vivere a noi e ai nostri dipendenti. Si sono ingoiati l’azienda insieme ai sogni e ai nostri sacrifici. Con quale coraggio e in cambio di cosa uno Stato si permette di depredare i suoi cittadini? Ci parlano di debiti, ma chi li ha contratti quei debiti, noi popolazione? Chi sono quelli a cui versavamo i nostri soldi? Chi li gestiva e chi li ha sperperati? Ma non contenti di averci rapinato, ci hanno addirittura riempiti di debiti. E adesso vengono a chiedere a me, che ho sempre pagato tasse assurde fino all’ultimo centesimo, che ha vissuto dello stretto necessario senza sfarzi né lussi, di saldare i debiti da essi stessi contratti? E mentre noi ci sveniamo continuano, come niente fosse, a lapidare tutti i nostri sacrifici, a toglierci il sangue dalle vene per ubriacarsi senza alcun ritegno? A me è rimasto da dargli solo la mia vita, ecco li accontento. Si prendessero pure il mio cadavere, io non sono più disposto a mantenerli”. Dice cupo mentre continua a passare la mano sulla canna della pistola. Mi alzo e istintivamente prendo il suo capo e me lo stringo al petto: “No!”. Grido, ma subito riabbasso il tono e mi siedo accanto a lui: “Tu vuoi regalargli addirittura anche la tua vita? Pensi davvero che meritino anche questo? Potrei capirti un po’ di più, se fossi tu a volere la loro vita e non il contrario! Siamo uomini amico, non animali! Uccidersi non credere sia un atto di coraggio, è un atto vile invece, equivale a ritenere giusti i comportamenti di questi assassini! E’ questo che vogliono capisci? Vogliono imporci e farceli accettare i loro crimini. Se tuo nonno avesse saputo che ti saresti suicidato dinanzi alla violenza, non avrebbe creato quell’azienda. Se potessero tornare in vita i nostri nonni saprebbero come combatterli e stai tranquillo, nessuno gli regalerebbe la propria vita, ma piegherebbero la loro! Essi ci hanno insegnato che sono gli assassini che devono pagare e non le vittime! Quella pistola non risolverà niente, le armi in una guerra si usano contro i nemici non contro se stessi. Sono proprio i comportamenti come il tuo a renderli più forti. Come siamo arrivati a permettere questo? Fammi il favore, getta quella pistola e impariamo ad usare, almeno in queste occasioni, il nostro cervello. E’ solo nel cervello che possiamo trovare le soluzioni!”.
Ora Roma comincia a risvegliarsi. Si ode il rumore di una serranda che si apre. Una briciola di sole accarezza il capo del Tritone e si posa sulla mano che l’uomo tende verso la mia. Un profumo di caffè si spande nell’aria e guardandoci complici, corriamo ridendo verso il Bar, tenendoci per mano!

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