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"Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta" di D. Lipsky

Creato il 14 ottobre 2011 da Bens
Probabilmente non comprerò mai "Il re pallido", ma certamente lo acquisterà mio padre ed io passerò interi mesi a far finta di sfogliarlo con sufficienza e distrazione, lo carezzerò avidamente con lo sguardo, mentre, educato, si riposa sul comodino di fianco al suo letto e nel giro di poco tempo, troverà una nuova e comoda postazione nella mia libreria, finché mi convincerò del fatto che leggerlo non sarà altro che il disperato e sincero ultimo atto di chi, come me, non si rassegna all'assordante assenza di David F. Wallace. Quanto si incazzerebbe a saperci così smaniosi di leggere una roba che lui, non solo, non aveva terminato, ma che, evidentemente, non aveva la minima intenzione di consegnare alla storia. Per questo mi rassicura essermi tanto aggrappata a Come diventare se stessi, una lunghissima intervista che Wallace rilasciò a David Lipsky, giornalista di Rolling Stone, alla fine del tour promozionale per Infinite Jest.
Ed è qui, adesso, che vi dico una cosa: David Foster Wallace è mio. Mio e basta. Voi potete continuare a leggerlo, apprezzarlo, amarlo, ma ciò che lui è per me, non lo sarà mai per voi. David Foster Wallace è mio, con la forza di una bramosa ossessione e una vandala intenzione di ridurvi al silenzio. Disturbate la mia devozione. David Foster Wallace è mio e lo avrei preferito sconosciuto e bistrattato dall'intellettualissimo mondo dell'editoria, perché mi è così dannatamente insopportabile sentire il suo nome sulle vostre bocche. E non venite a dirmi che, in un modo o nell'altro, è così per tutti. Vi sbagliereste. Per me è diverso. Per il rispetto che devo al senso di solitudine condiviso con i suoi libri, mentre, sotto le lenzuola, illuminavo le parole con la debole luce del cellulare, per non disturbare il sonno di mia sorella nel cuore della notte. Per il rispetto che devo alle domande che non cercano risposte troppo giovani ma che attendono, con pazienza, il tempo giusto. Per il rispetto che devo alle mie risate lasciate libere di infrangersi in faccia alle persone che, con me, condividono un vagone della metro ma non il peso di un libro di Wallace tra le mani e sul cuore. Prima di leggere questo libro, non avevo mai prestato troppa attenzione alle foto che lo ritraevano. Esisteva un'immagine vaga, ma con la precisione del dettaglio inutile, un Cristo con una bandana al posto della corona di spine, e mi bastava. Poi ho letto questa intervista ed ho scoperto un uomo. Guardi per bene una sua foto ora, marchi la bocca con un dito e ti ricordi che masticava il tabacco (come Richard, il personaggio di Libertà, un libro di Franzen, suo grandissimo amico)e che amava canticchiare Alanis Morissette. Lo osservi immortalato in un reading ed addomestichi una risata, perché te l'ha confessato cosa pensava di quelle letture di fronte ad un pubblico focalizzato esclusivamente sulla sua alta figura. E mi va di ricordarlo così: timido e solo, di una solitudine da cui non si scappa, ma determinato a stringere i denti fintanto avesse resistito.  

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