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Come leggere un racconto /5 – Greenleaf di Flannery O’Connor

Da Marcofre

Da quindici anni, pensò la signora May, mentre lo fissava strizzando furiosamente gli occhi, i maiali degli scansafatiche le sradicavano il foraggio, i loro muli le ruzzavano nel prato e i loro tori bastardi le coprivano le mucche. (…) mentre il signor Greenleaf dormiva beato a circa mezzo miglio di distanza, nella casa dei fittavoli.

Piccolo brano che sembra ribadire concetti già sviscerati nei post precedenti. Da una parte la signora May, la brava signora May; e dall’altra il fittavolo inetto e scansafatiche. In realtà prima c’erano solo gli indizi, qui abbiamo al contrario un quadro che si fa più preciso.
Eppure c’è tanto da imparare.

Immaginiamo di avere a che fare con un personaggio di un certo tipo: rigido, intransigente, che sa tutto lui. Come possiamo presentarlo per evitare di ammazzare l’interesse del lettore? Non di certo facendo l’elenco delle sue qualità, dei suoi difetti.

La sindrome da “lista della spesa”, dove tutti i dettagli fisici e quelli caratteriali devono essere elencati con ordine e all’inizio, è uno dei tanti errori dell’esordiente. Ne fa anche di peggiori, però quando agisce in questo modo commette uno dei peccati più gravi.
Perché la storia, e il personaggio, non sono un elenco di fatti o caratteristiche che messi su una pagina, divampano et voilà, abbiamo il racconto. O il romanzo.

È una costruzione. Un muro ha senso solo se si unisce a un altro muro, e poi a un altro, e poi a un altro ancora…
Intrecci, relazioni: tra il protagonista e gli eventi che si verificano, costringendolo a reagire. A cambiare la sua visione del mondo. Se tutto questo non è chiaro, e non si agisce di conseguenza, avremo una pianura disseminata di pareti solitarie, nessuna casa, nessuna costruzione.

Un buon sistema è quello di evitare di inondare la pagine di indicazioni, e partire da una situazione un poco insolita, ma capace di gettare la luce giusta sul protagonista.

Cosa c’è di meglio di un personaggio che di notte viene svegliato da un toro che mastica l’erba sotto la sua finestra? È quasi perfetto.

Di notte, quando qualcosa ci disturba, si è più “genuini” rispetto al giorno. La luce costringe a indossare una serie di convenzioni e maschere che il buio ci permette di lasciare da parte. Fin dalle prime battute: “Ehi tu, vattene via”, capiamo che la signora May rientra in una precisa categoria di persone. L’irritazione per essere stata svegliata, innesca una reazione che dice molto, su di lei, sull’ambiente che la circonda. Sui suoi rapporti con gli altri.

Qui abbiamo la conferma. La possiamo “vedere” mentre riflette su cosa le tocca sopportare quasi ogni giorno. Ci riesce per la sua “superiorità”, però qualche riga dopo troviamo qualcosa di interessante.

Il toro abbassò la testa e la scosse, e la ghirlanda gli scivolò alla base delle corna, dove assunse l’aspetto di una minacciosa corona di spine.

Non credo esista un autore che inserisce qualcosa per puro caso all’interno di un racconto. Magari dimentica di svilupparlo (come fece Raymond Chandler lasciando un morto ammazzato senza assassino in uno dei suoi libri, mi pare “Il grande sonno”); però pochi se ne accorgono. E di certo il romanzo si presta di più agli errori.

Quello che si sta innescando è una particolare storia che avrà uno sviluppo inatteso, ma non nel senso che diamo noi al termine “inatteso”.

Per Flannery O’Connor era importante presentare un personaggio con idee chiare su tutto e tutti, una donna senza bisogno di imparare o capire, perché sa già tutto. Questo è nero, questo è bianco, questo è rosso: fine. Dietro non c’è niente, anzi nemmeno esiste un dietro.
Il pensiero della signora May è questo: lineare, semplice e soprattutto sempre giusto.

Il resto lo vedremo nelle prossime settimane.

Come leggere un racconto /4 – Greenleaf di Flannery O’Connor


Filed under: buona scrittura, cassetta degli attrezzi Tagged: flannery o'connor, scrivere bene

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