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Come leggere un racconto – Lezione Tre

Da Marcofre

Che cos’è l’arte? Non è facile rispondere… Però ho la presunzione di sapere come avvicinarsi a essa, o almeno a elevarsi dalla mediocrità, la sciatteria come diceva Carver.
Prendiamo l’incipit del racconto “La casa di Chef” (sempre di Carver).

 Quell’estate Wes aveva preso in affitto una casa ammobiliata a nord di Eureka da un ex alcolizzato che si chiamava Chef.

Eccolo in inglese:

That summer Wes rented a furnished house north of Eureka from a recovered alcoholic named Chef.

Il titolo del racconto lasciamolo da parte per ora, non è il punto della situazione. Spesso arriva dopo, e nemmeno dall’autore ma dall’editor, o da un’intuizione di qualcuno a lui vicino.

Quello che mi sembra interessante in questa frase che apre il racconto, è la sobrietà. Si parla dell’estate, “quell’estate”, e basta. Nessuna indicazione su com’era: piovosa, calda, umida, secca… E la casa? Sì era ammobiliata, ma come? Quale era la disposizione dei mobili? Erano nuovi, vecchi, malandati?

A Carver sembrano non importare, al momento. Se ne occuperà dopo forse, oppure mai.
Perché scrivo queste cose? Semplice: il 95% dei lettori, legge e basta. Le frasi scorrono di fronte ai loro occhi e arrestano la lettura solo quando incontrano un refuso, un errore. Qui invece stiamo provando a imparare a leggere.

Stiamo parlando di incipit. In passato ho scritto che non è fondamentale; spesso ho letto fior di romanzi che avevano un inizio decoroso, e niente di più.
Non ci sono regole, il bello della narrativa è questo.

Però visto che dobbiamo imparare a leggere con un occhio più acuto, è bene soffermarsi sui dettagli.
L’incipit di questo racconto fila bene, è veloce, niente virgole o punti e virgola. Fissa con qualche colpo secco il perimetro della storia.

Se si rilegge due, tre volte (consiglio di farlo, come tutto il racconto), si resta sorpresi dalla sua sostanziale fragilità. Non abbiamo la descrizione di un evento straordinario, nemmeno di un’azione drammatica o spettacolare. Solo nomi, e la condizione di una persona (ex alcolizzato).

È talmente povero che si viene portati naturalmente a proseguire nella lettura. Si sente il sapore della conversazione; come se qualcuno mentre siamo seduti da qualche parte, iniziasse a ricordare un episodio della sua vita. Ho scritto povero? Sobrio era più adatto. Il sapore delle parole messe in fila è sobrio come gli odori a noi familiari: quello del pane sfornato. Del caffè al mattino. Della vita.

Un autore è interessante non per la sua abilità nel creare un buon incipit. È nell’ambiente che crea dopo. Lì si trova una concretezza e una precisione tali, da credere di esserci. Non è una faccenda che si risolve abbondando. Questo è un punto che non sarà mai abbastanza discusso: la parola per essere efficace non ha bisogno di grandi numeri. Di aggettivi o avverbi in quantità.

Al contrario.

Chi scrive, ricordi che non deve fare letteratura, ma scrivere storie. Punto. Alle classificazioni ci penseranno i critici. Un punto deve restare fondamentale: la sobrietà è la determinazione a trovare le parole più efficaci per interessare il lettore. Non è affatto il rifugio di chi non ha abbastanza vocaboli.

Ma come si costruisce un incipit efficace? Difficile rispondere, anzi impossibile. Proviamo a rileggere quello di Carver.

Quell’estate Wes aveva preso in affitto una casa ammobiliata a nord di Eureka da un ex alcolizzato che si chiamava Chef.

L’efficacia di un incipit si misura nelle righe successive, nella storia. In un certo senso, ogni riga o paragrafo, devono essere considerati un incipit. Dopo qualsiasi punto, il lettore deve riscontrare la medesima cura di sempre. Non può esistere la cura per certe parti, e meno per altre.

Come? Non è possibile? Diciamo che non è sempre possibile, perché anche i grandi sbagliano. La tensione, l’impegno deve essere sempre identico e palpabile; che poi possa verificarsi un cedimento nella struttura è ovvio. Nessuno è perfetto.

Ecco forse trovato il segreto (di Pulcinella) per scrivere dei buoni incipit. Basta capire che non esiste una parte da curare, e un’altra da trascurare, o da trattare di fretta e furia. Scrivi. E soprattutto riscrivi, rileggi, correggi e taglia. Alcuni ritengono che l’incipit sia inviato dagli Dei dell’Olimpo; perciò una volta scritto non lo cambiano. Va bene così, è perfetto.

È un errore perché come ogni parte del racconto può e deve essere limata, tagliata, rifatta radicalmente. Non ci sono Dei, solo duro lavoro. Se ritieni che ci sia qualcosa in quello che hai scritto che sia intoccabile, stai sbagliando tutto. La tua non è arte, ma presunzione, o pigrizia.

Ricapitolando.
La sobrietà è una scelta dello scrittore perché vuole che la storia arrivi al lettore. Non è naturale ma è frutto di un duro lavoro di pialla, cesello e sega, dettata da una volontà tesa all’eccellenza, all’arte.

La fretta è il nemico pubblico numero uno.

Anche la lettura di un incipit svela qualcosa del lavoro che si svolge dietro le quinte. Fatto di ore e ore piegati su un vocabolario, o a riscrivere frasi, periodi, paragrafi, dialoghi, aggiungendo o togliendo un aggettivo, una virgola.

Come leggere un racconto – Lezione Uno
Come leggere un racconto – Lezione Due


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