§ Come posso scrivere righe e righe di cose inutili §

Da Faith

In origine fu mia nonna, quella omonima. Fu lei a coniare il soprannome che mi porto in famiglia, quel tenero mollichina che a pochi giorni dalla nascita evidentemente già alludeva a quello che sarebbe stato il mio futuro, di morbida fanciulla, dall'inaspettata forza per aprire i barattoli, ma dalle altrettanto inaspettate doti di comodità e di antistress.

Poi giunse Claudia, che me ne disse di tutti i colori, dal bambolottina, all'osceno pomitrozzola, fino al familiare pagnottina, che richiama in versione sempre da panettiere, il mollichina di famiglia.

Ci fu poi Nem, che durante il nostro corteggiamento mi disse che se proprio dovevo trovarle un soprannome, un nomigliolo affettuoso avrei dovuto evitare cose sdolcinate e si sarebbe accontentata solo di qualcosa di molto originale, sessualmente allusivo o particolarmente buffo. Glielo trovai, naturalmente, e lei fu molto contenta.

Poi venne la fidanzata successiva, che mi chiamava Winnie Pooh e io ero costretta a chiamarla Pimpi, e fors'anche per questo al momento non mi resiste alla mente come il momento più alto della mia esistenza   .

Poi venne la Pazza, che in un delirio di dito puntato contro, mi chiamò "Tubista!" e lo trovai affascinante, tanto che talvolta lo reciclo, perchè, in fondo, in qualcosa aveva azzeccato.

C'è stato poi il periodo universitario aquilano, dove Dio è stato il mio soprannome più gettonato, per i miei voti universitari, per la mia onnipotenza e per tutto il resto.

Poi venne la fidanzata appresso, che mi disse - Non chiamarmi mai con cose tipo principessa! - e io non ce l'ho mai chiamata.

Poi c'è una mia compagna di specializzazione, che mi chiama a seconda Noumeno o Pelè, ma sarebbe troppo lungo e contorto da spiegare, basti sapere che Kant c'entra per davvero e che c'entra anche "In fuga per la vittoria".

La Pau, ricordo, esordì dicendomi - Non chiamarmi "amò" o "tesò", che non sopporto ste cose cafone! - . Naturalmente è stata la prima cosa che ho fatto   , seguita poi dalla spregevole azione di salvare il suo numero sul telefono con la più asettica delle possibilità, ossia "Suo nome" più "nome della scuola di specializzazione" , perchè, le dissi, ti devo distinguere da un'altra che ha il tuo nome, che non la sento mai, ma sicuramente la sentirò più di te.

Lei per me ne ha un paio, cui mi ha fatto molto legare, uno bello e uno brutto, uno che usa quando la tratto bene, uno che usa quando la tratto male. Una volta ebbe l'ardire di scrivere quest'ultimo in pubblico, la Pazza provò a farlo sui e ne seguì un delirio che difficilmente dimenticherò  , con un messaggio che conservo come storico della tipica comunicazione femminile, in cui una femmina ti pare che inizi chiedendo scusa, e finisce, non si sa bene con quale capriola, affermando comunque che se lei ha un motivo per cui scusarsi, tu sei comunque responsabilissimo di averla portata a compiere tale azione spregevole, per cui, alla fine dei conti, la colpa è comunque tua.

Capito? No? Ovvio, ho detto che si trattava della tipica comunicazione femminile! 

Freddamente direi che quest'abitudine di dare soprannomi alle persone metta ansia addosso, non ansia in senso clinico, naturalmente, ma quell'ansia del tipo "scinnm acuoll" [intraducibile in italiano]. Ma in realtà l'adoro.

Non sono più brava come un tempo a trovarne per le persone, che ormai mi limito a chiamare con un - Ehi tu! - ,  ma adoro che se ne trovino per me. O meglio, adoro quando trovo che qualcuno me ne assegni uno e io mi scopra ad affezionarmici. Perchè non è tanto il soprannome in sè a materializzare l'effetto, ma il contesto in cui salta fuori. Per questo, ad esempio, non ricordo con particolare trasporto il periodo "Winnie Pooh" . Perchè sembrava che l'orsacchiotto avesse me e non che io avessi l'orsacchiotto (Per non parlare di quanto fosse deleterio pensare a Winnie Pooh durante il sesso  ).

Tubista, per esempio, per quanto non fosse nè carino nel significato che sottintendeva nè nel suono, è saltato fuori da una discussione che ancora ha senso per me e ogni tanto ci ripenso.
Quando mi chiamano Dio (ultimamente per fortuna un po' meno) so che si fa riferimento a un periodo e a degli atteggiamenti ben precisi.

I soprannomi devono far parte di una storia, altrimenti è solo uno sgranare di occhi e una sensazione di allucinazione...


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