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Come potrebbe cambiare l’agricoltura, dopo le storture e le ingiustizie patite da produttori e consumatori e una cattiva gestione della Pac

Creato il 30 novembre 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Claudio Rambelli, rispondendo all’articolo del giornale britannico Guardian guarda avanti e propone un nuovo modo di gestire i finanziamenti all’agricoltura, sottolineo all’agricoltura non più agli agricoltori in modo diretto. La filiera alimentare è squilibrata: i produttori sono penalizzati, grandi industrie e distribuzione commerciale certo no. Il produttore si vede pagare poco la materia prima da chi la trasforma, ma il consumatore la paga molto di più. Storture e ingiustizie non ne mancano. Si dovrebbe ripensarci, finalmente, a partire delle comunità, dal basso. C’è il problema dei finanziamenti: sono diventati sostenibili? Ormai persino la sanità deve riuscire a costar meno, proseguendo gli errori del passato la pagheremo cara. Ecco il testo di Claudio Rambelli, cui va un sincero ringraziamento per la sua “utopia” che speriamo realizzabile, grazie a classi dirigenti nuove, cambiamenti assai forti e rapidi e cittadini responsabilissimi!

 

E’ vero che l’85% dei contributi va a solo il 18% dei produttori agricoli e che l’attuale sistema aiuta principalmente i grandi non offrendo un supporto adeguato a coloro i quali necessiterebbero e meriterebbero veramente di riceverlo, ossia i produttori sostenibili di piccola e media scala .
D’altra parte il reddito dei produttori agricoli è strettamente dipendente dal sistema dei pagamenti diretti: il prezzo di mercato non è più in grado, infatti, di remunerare adeguatamente il produttore. Con l’apertura dei mercati, il prezzo di riferimento è divenuto il prezzo mondiale, il quale, tuttavia, non riflette la realtà produttiva della maggior parte degli agricoltori europei. Produrre in Europa comporta, infatti, alti costi. Tuttavia, il prezzo,scollegato da questi ultimi, si situa a un livello troppo basso per costituire una remunerazione adeguata per i produttori. Tra il 1995 e il 2002 i prezzi alla produzione sono addirittura diminuiti dell’1,1%. Inoltre, nella remunerazione dei produttori non sono tenuti in conto i servizi ambientali forniti dall’attività agricola, né gli alti standard di sicurezza alimentare (fonte Parlamento Europeo, 2004).
D’altro canto, al calo dei prezzi al produttore non è corrisposto un calo dei prezzi al consumatore: infatti, nello stesso periodo di riferimento (1995-2002), questi sono aumentati dell’11% .
Questa difformità è sintomatica di un più generale disequilibrio all’interno della filiera alimentare. I piccoli produttori e i consumatori, gli “estremi” della filiera, rappresentano gli elementi più deboli e non hanno a disposizione mezzi adeguati per fronteggiare il potere dei grandi gruppi della produzione e della distribuzione.
Il modello agroalimentare industriale che ha arricchito l’Europa e i grandi produttori negli ultimi cinquant’anni è, al contempo, causa dell’inquinamento, in parte irreversibile, delle
acque, dell’aria e dei suoli, con conseguenti danni in termini di salute pubblica, fertilità dei suoli, prosperità delle campagne, eccetera. Questo modello agroindustriale trova il suo paradigma nello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, quali i suoli, le fonti idriche, le foreste, i mari.
La PAC può e deve intervenire a riequilibrare questi squilibri: rivedere il sistema dei pagamenti diretti, che devono integrare una dimensione ecologica della competitività ed essere distribuiti in modo più equo e trasparente. Si devono poi moltiplicare gli impegni per l’innovazione e la lotta contro i cambiamenti climatici nell’ambito dei programmi di sviluppo rurale .
La PAC è essenziale per l’Europa: contando ciascuno sulle proprie forze, i singoli Stati, infatti, non saranno in grado di fornire risposte adeguate ed efficaci. L’Europa sarà meglio equipaggiata all’affrontare le sfide dell’oggi e del domani solo se si presenterà unita all’appuntamento della riforma e solo se svilupperà una chiara visione sul futuro della produzione agroalimentare in Europa e sui beni e i valori da proteggere. Una Politica Agricola
Comune è vitale e necessaria e per questo vanno respinte in toto le proposte di ri-nazionalizzazione delle politiche agricole, che sortirebbero il risultato di gettare l’Unione Europea nell’incertezza alimentare e nel declino ambientale.
Un presupposto essenziale affinché la PAC di domani determini una politica forte, capace di rispondere alle sfide future, è che sia mantenuta la sua dotazione finanziaria. Vanno dunque contrastate fermamente le tentazioni di diminuire il budget destinato a finanziare la PAC, che, del resto, è già drasticamente calato negli ultimi decenni. Ulteriori tagli rischierebbero di sminuire la capacità della PAC di offrire un supporto concreto alla produzione alimentare e allo sviluppo economico desiderati. L’Unione Europea deve garantire risorse sufficienti a finanziare la politica agricola del domani.
Ma – ci auguriamo – la futura PAC non potrà riguardare i soli aspetti produttivi ,interessandosi anche di aspetti inerenti all’ambiente, al territorio, al mondo alimentare in generale.
In particolare, obiettivi quali la certezza alimentare, la qualità degli alimenti, la tutela del paesaggio tradizionale, il ruolo della produzione agroalimentare nella tutela delle risorse naturali (ivi compresi i suoli, le falde acquifere, la biodiversità), nella lotta al cambiamento
climatico e nel rafforzamento delle economie rurali dovrebbero ricadere sotto il cappello della PAC.
Ci piacerebbe che le forze politiche sensibili ai temi indicati sostenessero una riforma della PAC che fosse ancorata allo sviluppo e al rafforzamento delle economie locali; alla produzione agroalimentare intesa come un’attività economica redditizia per tutte le comunità e, in particolar modo, per le comunità delle zone rurali, e che cresca in maniera
intelligente, in armonia con le risorse naturali del territorio e impiegando energie rinnovabili.
Una PAC sostenibile socialmente si basa sulla partecipazione delle comunità alla definizione e all’attuazione delle politiche alimentari; sul valore del lavoro come collante e come elemento di sviluppo, non solo economico,delle comunità; sulla necessità di mantenere le aree rurali vive e fiorenti, non solo per promuoverne lo sviluppo, ma anche per conservarne il patrimonio ambientale, paesaggistico, storico e culturale.
E’ solo utopia o possiamo provarci ?

Claudio Rambelli


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